di Gabriele Maestri
A poche ore dalla trasmissione del messaggio di fine anno del presidente Napolitano – l’ultimo del suo settennato – vale la pena di fare qualche considerazione: l’occhio, data la natura di questo spazio, si concentrerà sulla parte relativa alle elezioni e al procedimento che le precede, ma anche altri passaggi meritano attenzione.
Fin dall’inizio, Napolitano ha sentito il bisogno di sottolineare che lo spirito alla base dei suoi interventi televisivi a conclusione dell’anno, come pure di ogni suo atto in veste presidenziale, si è sempre tradotto nel tentativo di «interpretare ed esprimere sentimenti e valori condivisi, esigenze e bisogni che riflettono l’interesse generale del paese. Guardando sempre all’unità nazionale come bene primario da tutelare e consolidare»; subito dopo, ha voluto precisare che ogni scelta operata fin qui è stata compiuta «secondo il ruolo attribuito dalla Costituzione al Presidente della Repubblica». Si tratta di una sorta di “legittimazione complessiva”, per le molte scelte che da Capo dello Stato ha dovuto – e, in non pochi casi, voluto – compiere: un’affermazione che non convincerà tutti della sua bontà (per alcune decisioni più che per altre), ma almeno in buona parte sembra condivisibile.
Rientra in quell’interpretazione di bisogni l’analisi della situazione sociale del Paese. Coglie pienamente la realtà Napolitano quando parla di «una vera e propria “questione sociale” da porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica»: invocando per la politica una «capacità di condivisione umana e morale», in fondo, declina l’ultima parte dell’articolo 2 della Costituzione, per cui «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» tocca a tutti ma, in particolare, a coloro che sono stati designati per guidare il paese. In quest’ottica, per il Presidente non si poteva e non si potrà prescindere dai sacrifici (di cui ammette peraltro il potenziale recessivo), ma all’interno di quei sacrifici «si può agire per affrontare le situazioni sociali più gravi»: è tutto nel solco dell’articolo 3, comma 2 della Costituzione, questo discorso, che ha il suo cardine nell’esigenza di distribuire «meglio, subito, i pesi dello sforzo di risanamento indispensabile, definendo in modo meno indiscriminato e automatico sia gli inasprimenti fiscali sia i tagli alla spesa pubblica, che va, in ogni settore e con rigore, liberata da sprechi e razionalizzata». Si tratta, in qualche modo, dell’ammissione che negli ultimi mesi la famigerata (e non solo per i cultori della lingua italiana) spending review e i ritocchi al rialzo delle imposte non hanno rispettato il parametro dell’equità – proprio come, del resto, non lo rispettavano i “tagli lineari” del passato – e di un monito al Governo che verrà, chiunque lo presieda.
Va poi rimarcato il ruolo che Napolitano assegna all’Europa e all’Italia. La condizione perché il Vecchio continente possa contare ancora nel mondo è che si voglia costruire «un futuro di integrazione e democrazia federale»: un’Europa a guida forte, sempre meno “unione” e sempre più “unita”, in cui conti di più il confine estremo rispetto a quelli che marcano i limiti degli Stati, tenendo ugualmente conto delle peculiarità di ogni territorio. Solo in questo contesto, dimostrando «integrazione, corresponsabilità e solidarietà», si può «promuovere realmente, su basi sostenibili, sviluppo, lavoro, giustizia sociale». Il Capo dello Stato sa che, di recente, l’Europa non è riuscita a mostrare questo volto o lo ha celato molto bene: anche per questo, ha giustamente invocato l’impegno dell’Italia che, come co-fondatore dell’Europa unita, non può porsi come «passivo esecutore».
Poco da dire sul passaggio dedicato ai giovani, che «hanno […] ragioni da vendere nei confronti dei partiti e dei governi per vicende degli ultimi decenni», pur con tutte le prudenze del caso. Da persona che appartiene alla categoria, credo che resti da capire come l’aspra polemica che Napolitano sembra giustificare possa trovare concreta soddisfazione: penso non si possa prescindere da provvedimenti tangibili, che combattano soprattutto la precarietà e la malsana tendenza di molti a pagare in modo ridicolo (o a pretendere di ricevere gratuitamente) prestazioni di lavoro, magari di qualità, che avrebbero prezzi ben chiari. Solo così può diventare realtà l’auspicio del Presidente, quando invoca da parte dei giovani «la voglia di reagire, la volontà di partecipare a un moto di cambiamento e di aprirsi delle strade». Anche la voglia di reagire, in fondo, ha copertura costituzionale, credo stia tutta nell’articolo 4: tutti abbiamo il dovere «di svolgere […] un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società», ma a monte ci è riconosciuto «il diritto al lavoro» e tocca ai governanti, che rappresentano la Repubblica, impegnarsi a renderlo effettivo. Voglia di camminare con le nostre gambe ne abbiamo: non pretendiamo che ci si spalanchino le porte, ma non possiamo continuare a prendere un muro a spallate per aprire strade, altrimenti non avremo le energie per percorrerle (anche Rita Levi Montalcini avrebbe sottoscritto queste righe, amare ma non ancora disperate).
Giustamente Napolitano ha sottolineato l’esigenza di far crescere l’Italia come un paese «aperto e inclusivo». Rientrano in questo discorso il bisogno di riflettere sul nostro modo di rapportarci con gli stranieri (una riflessione che comprende la cittadinanza italiana alle generazioni nate in Italia, come pure la vicinanza ai profughi), l’importanza di continuare i passi avanti sui diritti civili, l’assoluta urgenza di dare una soluzione al sovraffollamento delle carceri, un fenomeno sul quale poche coraggiose persone cercano di mantenere accesa una luce, pur tra mille difficoltà.
L’ultima parte del discorso è tutta dedicata alle elezioni, sotto vari punti di vista. Lo stesso Presidente invoca con forza «senso del limite e della misura nei confronti e nelle polemiche, evitando contrapposizioni distruttive e reciproche invettive», qualcosa che la politica italiana nelle ultime campagne elettorali non ha affatto conosciuto; fa altrettanto bene a richiamare la necessità, per alcuni temi cruciali, di «sforzi convergenti, contributi responsabili alla ricerca di intese», qualcosa che negli altri Paesi sembra normale e che la stessa Italia ha vissuto all’epoca della Costituente. Si parla spesso di “legislatura costituente” senza che questo avvenga: ci basterebbe che dell’Assemblea che ha scritto le nostre regole del gioco, i nuovi parlamentari adottassero lo spirito. Il compito non è certo semplice, lo sa bene Napolitano quando ammette che «Non si è […] saputo o voluto riformare la legge elettorale», una legge le cui storture dovrebbero essere note a tutti: davvero le candidature inserite in lista saranno, a questo punto, fondamentali.
Il Presidente ha poi affrontato il “nodo Monti”, sostenendo la legittimità del suo comportamento e affiancandolo implicitamente a quello di un suo predecessore, Lamberto Dini, che dopo aver guidato un governo tecnico nel 1996 si mise alla testa di una formazione politica. Quanto al proprio ruolo, in questo procedimento pre-elettorale, Napolitano precisa subito che da lui non verranno «giudizi e orientamenti di parte, e neppure programmi per il governo del paese, per la soluzione dei suoi problemi, che spetta alle forze politiche e ai candidati prospettare agli elettori», così come spetterà al titolare del Viminale garantire l’imparzialità del procedimento che porta al voto; allo stesso tempo, tuttavia, il Presidente ricorda che «non c’è nel nostro ordinamento costituzionale l’elezione diretta del primo ministro, del capo del governo», ribadendo in modo indiretto (ma piuttosto chiaro) le proprie prerogative. Non darà agende, non esprimerà preferenze, ma al tempo debito la scelta del Presidente del Consiglio spetterà a lui, non ad altri: ciò nel pieno rispetto dell’articolo 93 della Costituzione.
Ufficialmente è già iniziata, ma non sembra sbagliato dire che la campagna elettorale vera sia partita proprio oggi, prima ancora della presentazione di contrassegni e liste, prevista per le prossime settimane. Con l’ultima parte del suo discorso (e con le raccomandazioni rafforzate dal pensiero di Croce), è come se Napolitano avesse dato il fischio d’inizio del cammino pre-elettorale a reti unificate. C’è da augurarsi che i suoi auspici siano colti integralmente, anche se sul risultato che uscirà dalla consultazione non è lecito (e non è sano) fare pronostici: da una politica che recupera il significato delle espressioni «rispetto del bene comune» e «qualità morali» avremmo tutti da guadagnare.