Il mancato voto per gli studenti Erasmus tra paradosso e deficit democratico

di Vincenzo Iacovissi

Nei giorni scorsi il dibattito politico si è infuocato su un tema ancora irrisolto della nostra legislazione elettorale, quello del voto degli italiani “temporaneamente” all’estero per ragioni di studio e/o di lavoro.                                 

È abbastanza noto come l’ordinamento italiano preveda, da circa un decennio, la possibilità di partecipare alle elezioni  parlamentari e ai referendum abrogativi per gli italiani che siano residenti all’estero, in virtù di prescrizioni introdotte con le leggi costituzionali n. 1/2000 e n. 1/2001, e attuate con la legge n. 459/2001. Il complesso delle norme definisce una Circoscrizione estero in cui vengono eletti, rispettivamente, 12 deputati e 6 senatori, attraverso un voto espresso “per corrispondenza” dai cittadini italiani stabilmente all’estero. A tal fine, la legge dispone che siano le rappresentanze diplomatiche e consolari i luoghi di riferimento per assicurare certezza ed effettività del voto, provvedendo alla trasmissione dei plichi contenenti la scheda elettorale a tutti gli italiani iscritti nell’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), ossia il registro dove sono censiti coloro che trasferiscano la propria residenza lontano dall’Italia per più di 12 mesi.

 Nulla di ciò, invece, viene previsto per i cittadini italiani che si trovino oltre confine in maniera temporanea, o comunque per un periodo inferiore ad un anno, salvo alcune deroghe introdotte in corso d’opera, come le forze armate, e, con alcune limitazioni temporali, i dipendenti di amministrazioni statali ovvero professori universitari. In tal modo, solo queste tre categorie possono votare per corrispondenza nella Circoscrizione estero con modalità in parte analoghe a  quelle previste per i loro connazionali che siano fuori dall’Italia con continuità.

Tra i soggetti esclusi da una simile facoltà ci sono le migliaia (circa 25.000) di studenti universitari che si trovano nei vari Atenei d’Europa grazie al programma Erasmus. Una circostanza che è esplosa in tutta la sua forza proprio perché, nell’impedire a questi ragazzi di partecipare alle consultazioni del 24-25 febbraio prossimi senza dover tornare nei luoghi di residenza, evidenza una lacuna inaccettabile per un sistema democratico in un settore estremamente delicato.

La discriminazione che si realizza è singolare e diviene paradossale se paragonata allo status assicurato, a contrario,  ai cittadini italiani che abbiano collegamenti meno frequenti o addirittura assenti con il Paese d’origine, con la conseguenza di attenuare l’eguaglianza delle opportunità e il favor voti, intesi come principi cardine del processo elettorale.

Dinanzi alle notevoli e reiterate proteste dei ragazzi penalizzati dalla “svista” del Legislatore, il Governo dimissionario è sembrato barricarsi dietro l’impraticabilità di interventi che consentano l’espressione del voto nelle sedi diplomatiche e consolari. Tuttavia, una eventualità del genere è già prevista per gli elettori che si trovino all’estero per brevi periodi in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo, e che quindi possono contribuire, in loco, ad eleggere i propri rappresentanti nell’assise europea. Inoltre, l’emersione di questo problema era altamente preventivabile in ragione della sempre crescente emigrazione all’estero di giovani per motivi di studio, e soprattutto alla luce di casi analoghi verificatisi durante le  precedenti consultazioni politiche.

Di conseguenza, le difficoltà di ordine pratico (come l’esiguità dei margini temporali per approntare un adeguato procedimento e raccordo con le rappresentanze diplomatiche e consolari) dovevano essere conosciute e rimosse molto prima che la campagna elettorale avesse inizio, così da definire puntuali interventi normativi in grado di colmare la lacuna evidenziata e assicurare effettività del diritto di voto a chi si trova all’estero e non può sostenere spese ingenti per ritornarvi solo per depositare la scheda in un’urna.

Nell’era della digitalizzazione, del progresso tecnologico e di concezioni sempre più “aperte” del concetto di cittadinanza, è sul terreno concreto delle riforme che si misura il livello di civiltà di un Paese, la sua affidabilità istituzionale ed il complessivo rendimento della democrazia.

Ecco perché il mancato voto in loco per gli studenti Erasmus amplifica alcune delle irrazionalità della legislazione elettorale italiana, che un assetto politico-istituzionale maturo e consapevole dovrebbe ridefinire al più presto per allinearla agli standard di trasparenza, democraticità e contendibilità tipici degli ordinamenti più avanzati.

 

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