Sotto il 2. Dannati eppur utili

di Vincenzo Iacovissi

Tra i molti elementi di contraddizione che la legislazione elettorale italiana presenta ve n’è uno apparentemente marginale e pressoché ignorato dagli osservatori, ma di rilevanza pratica considerevole: la partecipazione delle liste c.d. “minori” alla competizione e la loro rappresentanza.

Come si comprende, concentreremo la nostra attenzione sul sistema elettorale in senso stretto, ossia il meccanismo che consente la trasformazione dei voti degli elettori in seggi, prendendo a rifermento la disciplina dettata per l’elezione della Camera dei Deputati (dpr 361/1957, da ultimo modificato dalla legge 270/2005, tristemente nota alle cronache come “porcellum”).

Il sistema previsto è basato su una formula proporzionale per l’assegnazione dei seggi fra liste concorrenti sul piano nazionale, con l’attribuzione di un premio di maggioranza (340 seggi) in favore della coalizione (o lista) che ottenga la cifra elettorale più elevata. Per l’accesso alla distribuzione dei seggi, è necessario superare alcune soglie di sbarramento: 10% per le coalizioni, 4% per le liste non collegate, 2% per le liste collegate ad altre, con possibilità di “ripescaggio” per la migliore lista sotto tale soglia, clausola che ha consentito, nelle precedenti elezioni tenutesi con il porcellum, l’ingresso in Parlamento di partiti con percentuali intorno all’1.

Alla luce di un simile meccanismo, le liste che non riescono a raggiungere le soglie richiamate, vengono escluse dalla rappresentanza parlamentare. Fin qui tutto chiaro, o quasi, perché leggendo con attenzione il funzionamento del porcellum, si può notare una aporia, meno conosciuta delle altre ma nondimeno rilevante per esprimere un giudizio sulle distorsioni che la legge 270/2005 ha introdotto nel meccanismo di selezioni del personale politico-parlamentare.

Prima di illustrarne i contorni, però, è necessario fare un passo indietro.

Negli ultimi anni, commentatori, studiosi e istituzioni hanno rivolto profonde critiche all’impianto realizzato dall’allora Ministro Calderoli (autore della c.d. “porcata”, da cui porcellum), corroborate da pronunce della Corte costituzionale; sono state stigmatizzate, a vario titolo, l’assenza di una soglia minima di voti per poter beneficiare del premio di maggioranza, la presenza di liste bloccate che non consentono all’elettore l’espressione di “voti di preferenza”, il diverso procedimento previsto per l’assegnazione del premio tra Camera (nazionale) e Senato (regionale) che può causare maggioranze diverse nei due rami, la facoltà di candidature plurime in più circoscrizioni e/o regioni. Altri rilievi si sono appuntati sull’eccessiva esiguità delle soglie di sbarramento per le liste coalizzate (2% alla Camera e 3% in ciascuna regione per il Senato), come incentivo alla frammentazione di un sistema politico già estremamente frazionato con tendenza alla polverizzazione (è un fatto abbastanza noto, d’altronde, come molteplici siano i partiti e movimenti che attualmente si situano intorno all’1% dei voti, reali o potenziali).

Nulla è stato però detto in relazione ad un’altra contraddizione in cui cade il sistema, ossia il singolare destino delle liste coalizzate che restano fuori perché non raggiungono le soglie previste.

Ebbene, i voti di queste formazioni “dannate” dai numeri all’irrilevanza istituzionale, in realtà, concorrono al risultato complessivo della coalizione in cui sono inserite e quindi al numero dei seggi che essa conquista. Infatti, la legge 270/2005 prevede che il totale dei seggi sia prima assegnato alle varie coalizioni in competizione, e solo successivamente ripartito all’interno di ciascuna coalizione, escludendo da questa seconda operazione le liste che non abbiamo raggiunto le soglie di sbarramento. Può accadere, così, che una lista conquisti, ad esempio, l’1,5% dei voti e non ottenga rappresentanza perché al di sotto del 2% e non sia recuperabile come “miglior perdente” perché preceduta da un’altra con l’1,8% dei voti; i suoi suffragi, e quelli delle altre liste nella stessa condizione, contribuiscono a determinare il numero dei seggi della propria coalizione senza partecipare alla loro distribuzione.

La circostanza descritta trae conferma empirica guardando alle elezioni del 2006, in cui non trovarono rappresentanza 6 liste della coalizione vincente di centrosinistra, pari a circa 600.000 voti, e 7 della coalizione perdente di centrodestra, con poco più di 600.000 consensi, per un totale di quasi 1 milione e 300 mila voti, utili ai fini dell’esito elettorale complessivo ma frustrati in termini di rappresentanza parlamentare.

Se si guarda agli schieramenti in campo per le elezioni del 24-25 febbraio prossimi, si evince la presenza di un cospicuo numero di “liste minori”, in particolare nella coalizione di centrodestra, che, in virtù di quanto detto sino ad ora, non faranno ingresso a Montecitorio. Ma i loro voti possono ritenersi, quindi, “inutili”? Le diverse campagne sul c.d. “voto utile” riflettono la comprensibile volontà dei soggetti partitici principali di canalizzare su di loro la maggiore percentuale di voto così da non alimentare ulteriori frammentazioni. Ciò sarebbe conforme a quella logica bipolare del sistema che dovrebbe connaturare struttura e dinamica della nostra democrazia.

In realtà, sappiamo bene che le cose non stanno esattamente così. Il nostro Paese è caratterizzato da un assetto politico fragile che risente ancora della transizione apertasi con il roboante crollo delle forze che avevano contribuito al “patto costituzionale” del dopoguerra, a cui non si sono sostituiti, in questo ventennio che volge al termine, soggetti politici capaci di stabilizzare i mutamenti in atto nel corpo sociale incanalandoli in una solida cornice istituzionale. La stagione dei partiti azienda, personalistici e plebiscitari, risulta ben espressa anche dalla normativa che si è tentato di tratteggiare, e che ne riflette le incompiutezze e ambiguità.

Se l’obiettivo del Legislatore fosse realmente quello di scoraggiare la frammentazione, allora meccanismi di tal fatta non dovrebbero essere approntati, essendo di tutta evidenza l’effetto moltiplicatore degli “apparentamenti” al solo scopo di ottenere l’ultimo voto necessario alla conquista del premio di maggioranza.

Per converso, appare quantomeno bizzarro computare i voti delle liste minori per stabilire chi avrà vinto le elezioni, e subito dopo impedire alle stesse liste di partecipare alla distribuzione dei seggi che anche esse hanno contribuito, seppur con ridotte dimensioni, a conquistare. Si delinea, in tal modo, una discrasia nel trattamento ricevuto dai diversi soggetti in campo ai fini della rappresentanza. Tradotto in termini matematici, il “costo seggio” delle liste coalizzate che accedono al riparto si riduce in virtù dell’esclusione delle altre liste dalla ripartizione interna.

Per evitare simili distorsioni, sarebbe preferibile non computare sin dall’inizio i voti “sotto soglia”, in modo da non tradire la stessa ratio della clausola di sbarramento, come avviene per i suffragi delle liste non collegate che non raggiungano il tetto del 4% nazionale. Diversamente operando, come la legge attuale fa, si usano due pesi e due misure che, lungi dal semplificare il sistema, ne alimentano le disarmonie.

Al prossimo Parlamento spetterà, tra l’altro, il compito di dotare il Paese di un sistema elettorale più snello, selettivo, che garantisca all’elettore il potere di scegliere realmente i propri rappresentanti e, nel contempo, non favorisca il proliferare di frammentazioni poco inclini ad una democrazia matura dell’alternanza. L’auspicio è che, dopo anni di proclami e false illusioni, si passi dalle parole ai fatti. Staremo a vedere.

Pubblicità
Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Sotto il 2. Dannati eppur utili

  1. gianfranco giulivi ha detto:

    la legge elettorale non verrà mai cambiata, proprio perchè essendoci la frammentazione di partiti, partitini ecc. tutti poi riceveranno i rimborsi elettorali, che non sono affatto proporzionali ai voti che ciascuno di essi prende , ovvero per come poi è rappresentato in parlamento, perchè bisogna riconoscere i rimborsi anche a quei partiti che non sono rappresentati da eletti? o che addirittura sono rimasti completamente fuori dal parlamento e non coalizzati (per loro scelta, di disturbo di quelli più grandi, o perchè una virgola del loro programma si differenzia dagli altri partiti? è la partitocrazia che ha distrutto l’Italia e continua a distruggerla, mantenendoci rissosi come al tempo dei Comuni, è con un clima da “guerra civile” sempre latente, grazie alla pletora di partiti che si azzannano per l’ossoda spolpare, che è sempre la mole pazzesca di denaro pubblico che affluisce loro.
    Gianfranco Giulivi

    • associazioneballot ha detto:

      la nuova disciplina in materia garantisce il rimborso elettorale solo alle liste che abbiano raggiunto il 2% dei voti validamente espressi ovvero abbiano eletto un rappresentante in parlamento. per tale ragione, le liste al di sotto di tale soglia non beneficieranno di alcuna contribuzione.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...