Finanziamento della politica o della democrazia?

di Vincenzo Iacovissi

In questi giorni è tornato prepotentemente d’attualità il tema del finanziamento pubblico ai soggetti politici, ritenuto come la causa principale dei noti scandali che hanno interessato la politica italiana, ad ogni livello, nel corso degli ultimi mesi.

In particolare, dinanzi ad evidenti abusi nell’utilizzazione delle risorse finanziarie dei partiti, si è riaperta la discussione sull’opportunità di ridurre o eliminare in radice qualunque sostegno di natura pubblica all’attività politica.

Il tema ha beneficiato di notevole rilievo nella campagna elettorale appena trascorsa, divenendo una vera e propria icona non solamente dei movimenti di protesta dilaganti nel Paese, ma anche di forze politiche più tradizionali.

Vale la pena, a questo punto, di precisare i contorni giuridici della questione, per trarre qualche modesta conclusione.

Il contributo di natura pubblica all’azione dei soggetti politici costituisce un elemento presente in quasi tutte le democrazie avanzate, sulla base del principio di pari opportunità all’accesso alle cariche pubbliche e alla libera elaborazione di proposte politiche da parte di tutti, anche delle fasce meno abbienti della popolazione o di coloro che dispongono di limitati mezzi finanziari. In altri termini, l’istituto nasce come promozione e supporto all’articolazione del processo democratico.

Ciò accade, in Europa, attraverso sovvenzioni dirette ai soggetti politici, oppure mediante agevolazioni indirette (riduzioni d’imposta, sgravi sulle utenze e così via), come è nei modelli costituzionali di matrice anglosassone. Negli Stati Uniti, invece, vige un meccanismo peculiare che premia pressoché esclusivamente il ricorso alla contribuzione privata da parte di candidati e partiti.

In Italia, si è passati da un sistema di finanziamento ordinario ai partiti (previsto dalla legge 195/1974) ad un assetto fondato sui c.d. “rimborsi” delle spese sostenute dai partecipanti alla consultazione elettorale, che, già disciplinati dalla legge del 1974, sono sopravvissuti al referendum del 1993 relativo all’abolizione del finanziamento pubblico.

Dalla metà degli anni Novanta ad oggi, dunque, attraverso interventi normativi disomogenei e di difficile lettura, la politica è stata sostenuta per il tramite dei rimborsi elettorali. In realtà, l’eccessiva destinazione di risorse finanziarie (nonostante le decurtazioni operate dal Parlamento nel luglio scorso) ed un meccanismo discutibile di distribuzione delle stesse tra partiti e movimenti, ha finito per trasformare, nei fatti, il semplice rimborso delle spese elettorali in vero e proprio canale di sovvenzionamento diretto.

Si è così determinata una situazione poco accettabile, che i tristi episodi di mala gestione del denaro pubblico hanno mostrato in modo grave, alimentando le spinte al superamento radicale di qualunque sostegno economico statale alle forze politiche.

Va però detto che si potrebbero coniugare risparmio di spesa e garanzia democratica attraverso l’adozione di altri modelli, come, ad esempio, quello tipico dell’esperienza inglese.

Nel Regno Unito, infatti, l’attività politica viene finanziata soprattutto attraverso servizi, come spazi gratuiti sui media, sgravi fiscali, agevolazioni al trasporto e alle utenze e così via, tra cui spicca, per originalità, il finanziamento di studi e ricerche di carattere politico da parte dei soggetti che esprimano una rappresentanza nella House of Commons. In sintesi, il sistema inglese è di tipo indiretto, premiando una concezione della politica come interazione costante fra cittadino e partito. Ne è dimostrazione il fatto che le misure di pubblico sostegno siano vincolate al fine di stimolare la partecipazione politica.

Un modello di questo genere potrebbe essere importato, a sommesso giudizio di chi scrive, anche nel nostro Paese, così da circoscrivere la contribuzione pubblica agli ambiti strumentali e connessi strettamente allo svolgimento dell’attività politica, scoraggiando, così, gli abusi oggidì frequenti a causa della destinazione di ingente denaro nelle casse dei partiti. In questo modo, si salvaguarderebbe il profilo democratico del sostegno pubblico alla politica che, qualora eliminato tout court, avrebbe, invece, il pericoloso effetto di comprimere gli spazi di articolazione del pluralismo immanenti nel testo costituzionale.

Tutto ciò andrebbe accompagnato ad una seria regolamentazione dei partiti che ne stabilisca diritti, facoltà, obblighi e limitazioni, così da inverare, con circa 65 anni di ritardo, il dettato dell’art. 49 cost., che garantisce una dinamica e democratica partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale.

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Una risposta a Finanziamento della politica o della democrazia?

  1. Angelo Ruggiero ha detto:

    Sono completamente d’accordo sulle tesi e sulle motivazioni dello scritto. Diversamente si perpetuerebbe l’ingiustificato ritardo per l’applicazione della Carta Costituzionale al richiamato art. 49. Ciò sarebbe ,oggi, una vera rivoluzione date le incrostazioni perpetuatesi nel tempo sulle strutture dei Partiti politici in difetto di regolamentazione per l’attività democratica:oggi sotto stress.
    La Costituzione riconosce e statuisce la formazione e l’esistenza dei Partiti quali strumenti democratici per la formazione politica destinata al concorso della vita elettorale

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