di Alessandro Gigliotti
Si apre in queste ore il conclave che eleggerà il nuovo Pontefice, il primo dopo la storica rinuncia di Benedetto XVI, ed è interessante ripercorrere brevemente le principali tappe che ne hanno caratterizzato l’evoluzione sino ad oggi. Si tratta di un procedimento che, per evidenti ragioni, è profondamente mutato nel corso dei secoli e si è pian piano sedimentato sino a raggiungere l’attuale assetto. Inizialmente, in realtà, l’elezione del Pontefice non avveniva attraverso un collegio ristretto, in quanto il Vescovo di Roma era scelto dal clero e dal popolo romano e tale procedura fu mantenuta sino agli inizi dell’XI secolo. Giova infatti ricordare che il Papa – posto a capo del mondo cattolico sul modello di San Pietro, intronizzato da Cristo stesso – assomma diverse cariche, tra cui proprio quella di Vescovo di Roma, ma più correttamente egli assume la veste di Pontefice in quanto Vescovo dell’Urbe, e non viceversa.
Fu soltanto nel 1059 che Niccolò II decise di riformare la procedura di elezione del Pontefice, attraverso la promulgazione del decreto In nomine Domini. Con tale atto solenne, l’elettorato attivo fu limitato ad una ristretta cerchia di autorevoli esponenti del clero romano, ai quali veniva conferito il titolo di Episcopos cardinales («vescovi cardinali»). Il termine cardinale, derivante dall’aggettivo latino cardinalis e destinato ben presto a sostantivarsi, inizialmente era quindi l’attributo con cui veniva insignito un certo numero di vescovi cui spettava, nella veste di eredi della tradizione apostolica, il compito di eleggere il Vescovo di Roma. Nel secolo successivo venne poi fissato – per volontà di Papa Alessandro III (1179) – il quorum di elezione nella misura dei 2/3 dei votanti, mentre non esistevano ancora norme precise sul luogo nel quale doveva riunirsi il collegio.
La prassi di riunire il collegio cardinalizio in un luogo separato, invece, risale al XIII secolo ed ha origine in un singolare episodio. Nel 1216, dopo aver atteso per vari mesi che i cardinali giungessero ad un accordo sulla scelta del nuovo Pontefice, i perugini decisero di mettere sotto chiave gli elettori per indurli a deliberare: letteralmente, cum clave («sotto chiave»), da cui la nota espressione di «conclave». La procedura fu poi ripetuta nel 1241, su iniziativa del futuro cardinale Matteo Rosso Orsini, e nel 1268 a Viterbo, quando i cardinali – nel timore che potessero allontanarsi o fuggire – furono murati nell’edificio e alimentati attraverso il tetto che venne appositamente scoperchiato. Il conclave divenne prassi ordinaria nel 1275, con la promulgazione della costituzione Ubi periculum, atto che stabiliva, tra l’altro, che i cardinali dovessero riunirsi nel luogo di morte del Pontefice uscente. In tal modo, una procedura improvvisata per indurre i cardinali a decidere rapidamente diveniva pian piano uno strumento per garantirne la segretezza e preservare il collegio cardinalizio dalle influenze esterne, che invero non mancheranno neppure nei secoli a venire.
Le norme per l’elezione del Pontefice sono costantemente mutate nel corso del tempo e diverse solo le innovazioni rilevanti operate nel XX secolo. A seguito dell’elezione, nel 1903, di Pio X, fu infatti abolita la c.d. «esclusiva», una sorta di diritto di veto attraverso cui i sovrani cattolici potevano impedire l’elezione di un determinato candidato, che nel medesimo conclave aveva permesso al cardinale Giuseppe Sarto di assurgere al soglio pontificio. Nel corso del XX secolo sono poi venute meno le modalità di votazione per «ispirazione» e per «compromesso», peraltro ormai desuete: nel primo caso, si trattava di una vera e propria acclamazione, richiedente l’unanimità; nel secondo, invece, il collegio cardinalizio incapace di superare una fase di stallo poteva delegare la scelta definitiva ad un collegio ristretto, il quale doveva in ogni caso deliberare rispettando il quorum dei 2/3. È rimasta pertanto in vigore (formalmente dal 1996) la sola procedura «per scrutinio», la quale prevede l’elezione del candidato che abbia conseguito la maggioranza qualificata dei 2/3. Nel caso in cui l’accordo non si raggiunga, dopo la 34a votazione è possibile ricorrere al ballottaggio, la cui disciplina è sensibilmente mutata per volontà di Benedetto XVI: sino al 2007 risultava eletto il candidato che avesse riportato la maggioranza assoluta, attualmente invece anche in caso di ballottaggio è necessario conseguire il quorum dei 2/3. All’esigenza di evitare che una situazione di stallo potesse paralizzare la procedura elettiva, e nuocere così all’immagine della Chiesa, si sostituisce così quella di preservare l’unità del collegio cardinalizio e che mira a scongiurare l’elezione di un candidato privo di largo sostegno.
Non tutti i cardinali sono in quanto tali elettori. Un’importante innovazione contenuta nel motu proprio Ingravescentem aetatem, emanato da Paolo VI nel 1970, stabilisce infatti che i porporati che abbiano superato l’80° anno di età perdano il diritto di eleggere il Pontefice. Attualmente, il collegio cardinalizio conta più di duecento componenti (con esattezza, 207) di cui 90 ottuagenari e 117 elettori. Il numero massimo di elettori, in precedenza pari a 70, è ora stabilito nella misura di 120 cardinali dalla costituzione apostolica Romano pontifici eligendo, emanata dallo stesso Paolo VI per dare sistematicità alle disposizioni in materia di sede vacante ed elezione del Pontefice.
Un ultimo aspetto da menzionare, ancorché di estremo rilievo, è quello dell’elettorato passivo: a differenza di quanto si è soliti credere, per essere eletti al soglio pontificio non è necessario essere un porporato. Qualunque cristiano battezzato, infatti, è eleggibile, purché abbia i requisiti per essere nominato vescovo, anche se, per prassi, i cardinali eleggono sempre un componente del collegio. Infine, qualora l’eletto non abbia ancora ricevuto l’ordinazione episcopale, la deve conseguire immediatamente per mano del decano del collegio cardinalizio o, in sua assenza, del sottodecano o ancora del primo dei cardinali vescovi. In realtà, tale ipotesi è ormai irrealizzabile, dal momento che a partire dal pontificato di Giovanni XXIII tutti i cardinali, all’atto della creazione, ricevono la consacrazione episcopale qualora ne siano privi.