Sullo scioglimento anticipato del Senato: se il Capo dello Stato va a Moncalieri

di Alessandro Gigliotti

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Castello di Moncalieri, presso cui Vittorio Emanuele II firmò lo storico proclama del 1849

In attesa di conoscere l’esito delle consultazioni che l’on. Bersani, ricevuto il preincarico dal Presidente Napolitano, ha avviato con le parti sociali e le forze politiche, si fanno sempre più fitte le voci su possibili alternative da praticare nel caso in cui il tentativo esperito dal segretario del PD vada a vuoto. Tra i vari scenari ipotizzati, occorre fermare brevemente l’attenzione su quello più radicale, secondo cui bisognerebbe procedere allo scioglimento anticipato del Senato. La logica sottesa a tale proposta è abbastanza evidente: dal momento che al Senato, a differenza di quanto accade a Montecitorio, non c’è maggioranza e che, pertanto, è la Camera alta la causa dello stallo istituzionale (quello che gli inglesi chiamerebbero un hung parliament), è opportuno procedere a nuove elezioni che interessino però esclusivamente l’assemblea di Palazzo Madama.

L’ipotesi dello scioglimento anticipato del solo Senato, pur costituzionalmente ammissibile, è da escludere per diverse ragioni. Anzitutto, è bene precisare che l’art. 88, primo comma, della Costituzione prevede effettivamente che il Presidente della Repubblica, sentiti i rispettivi Presidenti, possa sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Pertanto, la soluzione in questione poggia su solide basi normative, tanto più che lo scioglimento anticipato di una sola Camera (guarda caso proprio il Senato) è stato esercitato già in passato per ben tre volte. Tuttavia, prima di rispondere al quesito sull’opportunità di procedere in tal senso, v’è da chiedersi quale sia la ratio di una simile disposizione. Nel testo originario della Costituzione, le due Camere avevano una durata diversa: cinque anni per la Camera, sei anni per il Senato. La presente statuizione è rimasta però lettera morta: già nel momento in cui la prima legislatura volgeva al termine, nel 1953, il Presidente Einaudi decise di operare lo scioglimento anticipato del Senato (la cui cessazione naturale era collocata l’anno successivo, nel 1954) in modo da consentire il rinnovo contestuale delle due Assemblee. Il perché è presto detto: il regime di bicameralismo paritario imponeva (e impone tuttora) un’omogeneità politica tra i due rami del Parlamento, sicché era inopportuno procedere con il rinnovamento dell’assemblea di Montecitorio mantenendo ferma la composizione di Palazzo Madama. Scelta analoga fu compiuta cinque anni più tardi, nel 1958, dal Presidente Gronchi e, nel 1963, anche da Segni: nel corso di tale anno, peraltro, era stata approvata la legge costituzionale n. 2 del 1963, che riduceva il mandato del Senato a cinque anni, uniformandolo a quello della Camera dei deputati. Da quel momento in poi, non si sono più avuti casi di scioglimento di una sola Camera né tanto meno una simile ipotesi avrebbe alcun senso, poiché espone il Paese al rischio di maggioranze contrapposte o non perfettamente convergenti. Ciononostante, la norma è tuttora vigente, benché la possibilità dello scioglimento monocamerale è remota, ridotta ad un mero caso di scuola.

Esiste però un’altra ragione, di ordine sistemico, che si frappone all’idea di sciogliere anticipatamente il Senato. Anzitutto, una scelta del genere non potrebbe che essere condotta dal nuovo Presidente della Repubblica, giacché l’attuale non può esercitare il potere di dissoluzione vigendo il semestre bianco. A parte ciò, l’ipotesi di sciogliere il Senato poggia, evidentemente, sulla convinzione – tutta da dimostrare peraltro – che il corpo elettorale chiamato alle urne sia propenso ad eleggere un’assemblea politicamente omogenea rispetto a quella di Montecitorio, in cui PD e SEL detengono la maggioranza assoluta dei seggi. Orbene, è del tutto evidente che il Capo dello Stato, in virtù del suo ruolo di organo super partes, non potrebbe essere chiamato ad esprimere una simile valutazione, dalla valenza indubbiamente politica. Peraltro, cosa avverrebbe se poi dalle urne uscisse ancora una volta una maggioranza non pienamente convergente con quella della Camera dei deputati? Si tornerebbe nuovamente al voto? E poi, perché sciogliere anticipatamente il Senato e non, invece, la Camera? L’ipotesi descritta, per quanto suggestiva, non è quindi praticabile e sembra piuttosto evocare il precedente storico del Proclama di Moncalieri, con cui Vittorio Emanuele II, nel lontano novembre 1849, si appellò agli elettori piemontesi affinché eleggessero una Camera di orientamento più moderato della precedente, la quale si era rifiutata di dare l’assenso parlamentare alla ratifica del Trattato di Pace con l’Austria. Quella volta andò bene. Ma, soprattutto, quello era un altro modello istituzionale.

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Una risposta a Sullo scioglimento anticipato del Senato: se il Capo dello Stato va a Moncalieri

  1. pasquino tevere ha detto:

    L’ipotesi descritta oltre che suggestiva pare anche avere un certo qualcosa di profetico e terrificante di cui la quasi totalità dei giornalisti ha parimenti paura al solo nominare.
    Se poi viene associato al professore, il panico irrompe tra certi protagonisti.
    Il finale di partita si avvicina a tamburo battente.

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