di Vincenzo Iacovissi
Nel permanere dello stallo politico e istituzionale, l’attenzione dei principali osservatori si è soffermata, da qualche giorno, sulle Commissioni permanenti di Camera e Senato.
L’interesse per simili articolazioni interne ai rami del Parlamento è scaturito, soprattutto, dalle reiterate polemiche sollevate dai “cittadini” del M5S, i quali lamentano la mancata attivazione delle stesse e, quindi, l’impossibilità di espletare il proprio mandato.
Il problema nasce dalla circostanza – alquanto singolare – che caratterizza questo avvio di Legislatura, laddove, a circa 50 giorni dal voto popolare e ad un mese dall’insediamento delle Camere, i gruppi parlamentari (quasi tutti) non hanno ancora provveduto a comunicare ai rispettivi Presidenti d’Assemblea i nominativi dei propri rappresentanti in seno alle diverse Commissioni competenti per materia.
Tale atteggiamento è da leggere in connessione con il fallimento dei vari tentativi finora intrapresi per l’individuazione di una maggioranza a sostegno della nascita di un Governo, di cui la recente designazione dei “10 saggi” da parte del Capo dello Stato è plastica testimonianza.
I vertici delle due Camere hanno sinora avallato questo impasse sostenendo l’impossibilità di procedere in maniera autonoma senza designazione dei membri da parte dei gruppi, ed evidenziando la non praticabilità di insediare le Commissioni in assenza di una dialettica chiara tra maggioranza e minoranza.
Ci chiediamo: possono insediarsi le Commissioni in assenza di un Governo pienamente legittimato? E se no, per quali motivi?
Per rispondere a questi interrogativi è necessario un passo indietro.
Come noto, le Commissioni trovano disciplina dapprima nel testo costituzionale, all’art 72, in cui si prevede che siano “composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari” abilitate ad intervenire come organo fondamentale nel procedimento legislativo. I regolamenti parlamentari ne stabiliscono il numero (14 per ogni ramo, più quelle speciali), le modalità di organizzazione, e ne precisano le competenze per materia.
Da una lettura superficiale delle norme, le Commissioni potrebbero apparire scisse dalla presenza di un Governo e di un rapporto fiduciario, in quanto si atteggerebbero solamente come articolazioni interne necessarie per funzionamento delle Camere.
In realtà, ad una interpretazione più sistematica delle disposizioni costituzionali, regolamentari e della stessa forma di governo, ben si comprende come questi organi rappresentino un imprescindibile elemento di “lavoro parlamentare”, soprattutto per ciò che concerne la fase legislativa, strettamente collegato all’esistenza di un Governo.
Infatti, la dinamica di una forma di governo parlamentare richiede una stretta collaborazione tra il Governo e la propria maggioranza per dare concretezza legislativa all’indirizzo politico, a tracciare il quale – è bene ricordarlo – sono entrambi chiamati.
In ragione di ciò, sarebbe impensabile prevedere la costituzione delle Commissioni senza che all’interno sia riprodotto il rapporto di forze esistente in aula; in più, senza una maggioranza come si potrebbero assegnare alla o alle nimoranze la guida di quelle Commissioni definite “di garanzia” (come quella sulla vigilanza Rai oppure il Copasir per i servizi segreti)?
Lo stesso precedimento legislativo, inoltre, è strutturato su un costante rapporto tra maggioranza e minoranza, a partire dalla fase dedicata all’esame in Commissione.
Dall’insieme di questi sommari elementi, si può trarre la naturale conclusione che, in assenza di un Governo dotato di una maggioranza parlamentare, e di una o più opposizioni (o minoranze), sarebbe quantomeno problematico garantire l’operatività delle Commissioni, se non accedendo a concezioni neoassemblearistiche o monistiche della forma di governo parlamentare che paiono stridere sia con la lettera che con lo spirito della Carta costituzionale.