Segreto sì, segreto no

di Gabriele Maestri

Si avvicina il momento del voto sulla permanenza di Silvio Berlusconi nel mandato parlamentare da parte dell’aula di Palazzo Madama; a pochi giorni dalla decisione dell’assemblea, non è ancora chiaro se la votazione dovrà essere a scrutinio palese oppure segreto. E’ evidente come la questione abbia un peso politico e mediatico assolutamente rilevante, ma non può essere tralasciato l’aspetto giuridico della vicenda. Non ci sono dubbi sul motivo per cui alcune parti politiche tengono al voto segreto (nella speranza magari che qualche senatore non segua le direttive del proprio partito e contribuisca soprattutto a negare la “decadenza” di Berlusconi), così come è chiaro perché altre insistano perché lo scrutinio sia palese (evitare proprio quei comportamenti), ma è opportuna una riflessione più profonda, che cerchi di inquadrare la vicenda in una considerazione più ampia.

Lo spunto lo fornisce in particolare la proposta di modifica del Regolamento del Senato, comunicata alla presidenza il 17 settembre 2013 e firmata dai senatori del MoVimento 5 Stelle (prima firma Vincenzo Santangelo), proposta di cui si è discusso oggi nella competente Giunta: è la stessa rubrica della proposta a parlare di “abolizione della votazione a scrutinio segreto”. Il risultato verrebbe ottenuto modificando gli articoli 41 (procedura delle Commissioni in sede deliberante), 113 (modi di votazione) e 118 (mancato funzionamento dei dispositivi elettronici di voto) e cancellando l’art. 117, eliminando dunque ogni riferimento al voto segreto al Senato.

ImmagineE’ interessante leggere la breve relazione che accompagna la proposta: lì si spiega che lo scrutinio segreto – un metodo “arcaico”, che non troverebbe più ragione di essere nel Parlamento di oggi – “ha rappresentato lo strumento attraverso cui si è sviluppato il trasformismo parlamentare determinando, nei fatti, un divorzio tra sistema politico e responsabilità” e “favorisce il potere di pressione dei più disparati gruppi di interesse”; impedendo poi agli elettori di giudicare e valutare i propri rappresentanti, si porrebbe in contrasto con i principi della sovranità popolare e della trasparenza delle decisioni pubbliche. Ragioni simili, peraltro, avevano già spinto le camere a riformare il regime del voto segreto nel 1988, rendendolo eccezionale, per lasciare alle spalle un passato che aveva visto un uso del voto segreto fin troppo disinvolto e frequente; per i senatori M5S, tuttavia, ciò non è ormai sufficiente e occorre prevedere la completa abolizione del voto segreto.

Le ragioni addotte da questo gruppo senatoriale meritano rispetto, se non altro per onore di verità: il fatto stesso che chi vota in dissenso nel segreto abbia spesso nomi coreografici e con sapore di campi di battaglia quali “franco tiratore”, “cecchino”, “fuoco amico” e simili, danno l’idea di un’azione repentina, volta a danneggiare un determinato disegno collettivo, magari per ragioni poco nobili di interessi personali. Lo sfruttamento prevalente – e obiettivamente da biasimare – di questo tipo di scrutinio, tuttavia, non può far mettere da parte alcune considerazioni sul motivo per cui il voto segreto è stato introdotto e, in seguito, mantenuto.

A ben guardare, infatti, si tratta dell’unica garanzia seria della cd. “libertà di coscienza” del parlamentare, soprattutto su temi particolarmente delicati, come quelli che hanno attinenza a diritti e libertà (guarda caso, quelli per i quali è facoltativo il voto segreto in base ai regolamenti attuali). La garanzia, in particolare, metterebbe al riparo il parlamentare da provvedimenti disciplinari da parte del gruppo per la sola “colpa” di avere votato secondo coscienza, sia pure in difformità dalle direttive di partito o di gruppo: anche il voto segreto, dunque, sarebbe una conseguenza necessaria dell’articolo 67 della Costituzione, che fissa il divieto di mandato imperativo (e non sembra un caso che il MoVimento 5 stelle si sia espresso più volte per la modifica di questa disposizione).

A questo discorso, poi, si aggiungerebbero altre considerazioni sull’opportunità di alcune modifiche, in particolare circa il voto sulle persone. La relazione sottolinea la “notevole inadeguatezza” della previsione obbligatoria del voto segreto in materia, per il “concreto rischio della loro inevitabile ed inopportuna politicizzazione, direttamente dipendente dalle ripartizioni politiche prestabilite”. Anche qui, si vuole porre rimedio al malcostume di chi vota un nome quando il gruppo ne ha proposto un altro, o dei voti che riflettono accordi di “lottizzazione” delle cariche elettive, dando la massima responsabilità ai parlamentari di fronte agli elettori. Anche qui, il rispetto è dovuto, ma due considerazioni vanno fatte.

ImmagineInnanzitutto va chiarito che l’abolizione completa dello scrutinio segreto comporta che ogni votazione che oggi alle Camere viene compiuta mediante schede (comprese quelle per eleggere il Presidente della Repubblica, i giudici costituzionali e i membri laici del Csm, se si intervenisse pure sul regolamento della Camera) dovrebbe a questo punto essere svolta a scrutinio palese: a mandare in soffitta catafalchi (le cabine) e insalatiere (le urne) sarebbe l’art. 2 della proposta di modifica dei 5 Stelle. Il testo, però, incorre in un errore macroscopico (e un po’ grossolano) nel dire che “Sono effettuate a scrutinio palese le votazioni comunque riguardanti persone e le elezioni mediante schede“: è del tutto evidente che, se lo scrutinio è palese, le schede non servono a nulla e, per contro, francamente non si vede come un’elezione mediante schede possa configurare uno scrutinio palese.

Secondariamente, è tutta da dimostrare l’opportunità di far votare in modo palese un numero così alto di persone, che in quel momento esercitano un voto in modo molto simile a quello tutelato dall’articolo 48, comma 2 della Costituzione che – come è noto – è “personale ed eguale, libero e segreto”. Non si capisce perché la volontà del singolo parlamentare, se difforme da quella del gruppo anche per ragioni del tutto legittime, dovrebbe essere “forzata” per il solo vincolo di appartenenza. E il primo modo di tutelare la libertà del voto del singolo deputato o senatore sarebbe, proprio come per i cittadini, la segretezza del voto.

Sono questi, dunque, i dubbi che a mio parere suggerirebbero di non abolire tout court lo scrutinio segreto dai regolamenti parlamentari. Ciò, tuttavia, non significa affatto che nel caso che qui interessa – il caso di Silvio Berlusconi – sia scontato il ricorso al voto segreto. E non solo perché un eventuale dubbio del Presidente del Senato verrebbe rimesso alla Giunta per il Regolamento e un blocco Pd-M5S-Sel permetterebbe di decidere per il voto palese. Ma perché già ora ci sono gli strumenti per poter dire che così si dovrebbe votare in questo caso.

ImmagineChi insiste per il voto segreto cita l’articolo 113 del Regolamento che al secondo comma prevede lo scrutinio segreto quando venti senatori ne facciano richiesta nei casi previsti dal quarto comma (tutte deliberazioni che attengono ai rapporti civili ed etico-sociali, con riguardo agli artt. 13-32 Cost., o alle modifiche al regolamento che però qui non verrebbero in esame), mentre il terzo comma segnala che “sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti persone“.

Ora, probabilmente ci si è fissati su questa disposizione, ritenendo che il voto sulla decadenza di Berlusconi sia un voto “riguardante una persona”, ma la cosa è del tutto discutibile.

Intanto per cominciare, c’è un parere della stessa Giunta – del 6 maggio 1993 – che sosteneva che le decisioni in materia di autorizzazioni a procedere (quando ancora le prevedeva l’art. 68 Cost.) dovevano essere prese a scrutinio palese perché non riguardavano la persona del singolo parlamentare (come per le limitazioni della libertà personale), ma esprimevano “una prerogativa dell’Organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri Organi dello Stato“. Se il discorso valeva sulla cd. “immunità” per i parlamentari, tanto più dovrebbe valere in un caso come quello di Berlusconi, che dev’essere ricondotto alla “verifica dei poteri” di cui all’art. 66 Cost. (articolo che non fa parte dell’elenco per cui è facoltativo il voto segreto). Qui infatti è in discussione la regolare composizione del plenum dell’assemblea parlamentare, un bene che va decisamente oltre l’orizzonte della singola persona.

Non a caso, la Giunta per il regolamento della Camera, nella deliberazione del 6 giugno 2007, usò esattamente questo concetto: era contestata l’elezione di due deputati e Antonio Leone, allora deputato per Forza Italia, notò che il principio dello scrutinio segreto per le “votazioni riguardanti persone” doveva valere anche per la votazione sulle elezioni contestate. La Giunta per il regolamento, invece, disse che non si poteva assimilare una votazione riguardante persone a quella sulle proposte della Giunta per le elezioni: con esse si valuta lo status di un parlamentare (la regolarità dei suoi titoli di ammissione e l’assenza di cause contrarie al mandato) “che incide sulla regolare composizione del plenum della Camera”.

E’ pure vero che alla Camera le regole sono più precise di quelle di Palazzo Madama, visto che il regolamento della Giunta delle elezioni esclude le deliberazioni in materia di verifica dei poteri e di decadenza dalle “votazioni riguardanti persone” (e logica vuole che la stessa regola valga per l’assemblea); sarebbe del tutto irragionevole, però, pretendere che tra Camera e Senato permanga una distinzione tanto grande su un punto così delicato. Né risponde alla logica immaginare che sulla corretta formazione dell’assemblea parlamentare non si pretenda la massima responsabilità del singolo deputato o senatore.

Stando così le cose, dunque, non ci sarebbe alcun bisogno di modificare il regolamento del Senato, ma la Giunta potrebbe cogliere l’occasione per uniformarsi in modo chiaro a quanto già detto dall’omologo organo della Camera nel 2007.

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