La Camera conferma la fiducia al Ministro Cancellieri

di Alessandro Gigliotti

Con 154 voti a favore, 405 contrari e 3 astensioni su un totale di 562 deputati presenti, la Camera dei deputati ha respinto la mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle nei confronti del Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, in relazione alla nota vicenda delle telefonate intercorse tra il Ministro e i componenti della famiglia Ligresti. La Cancellieri, pertanto, ha superato indenne, come già avvenuto nei mesi scorsi al suo collega Angelino Alfano, lo scoglio del voto parlamentare su una mozione volta a chiedere le sue dimissioni dalla carica. Salvo colpi di scena, la vicenda si chiude qui, almeno dal punto di vista politico.

Non è nostra intenzione entrare nel merito della questione, i cui dettagli sono stati descritti puntualmente dalla stampa nei giorni scorsi, né tanto meno esprimere valutazioni sull’opportunità o meno che il Ministro rassegnasse le dimissioni, come pure diverse frange della maggioranza parlamentare avevano richiesto sino alla serata di ieri. Ci limiteremo, piuttosto, ad alcune brevi considerazioni sull’istituto della sfiducia individuale e sul legame intercorrente tra la mozione di sfiducia al singolo Ministro e la permanenza in carica del Governo nel suo complesso.

Istituto pressoché raro se si guarda all’esperienza dei principali ordinamenti costituzionali, la sfiducia al singolo Ministro non è prevista espressamente dalla nostra Costituzione e della stessa, sino a pochi anni fa, non vi era alcuna traccia neppure nei regolamenti parlamentari. Tuttavia, nel corso degli anni Ottanta, essa è pian piano divenuta parte integrante del nostro diritto costituzionale in virtù di una modifica del Regolamento della Camera dei deputati del 7 maggio 1986, che ha introdotto i commi terzo e quarto dell’art. 115 volti, con l’obiettivo di estendere la disciplina delle votazioni fiduciarie alle mozioni con le quali si richiedono le dimissioni di un singolo Ministro. Al Senato, invece, il Regolamento tace sul punto, ma un parere della Giunta per il regolamento del Senato della Repubblica del 24 ottobre 1984 ne ha sancito l’ammissibilità.

Le ragioni che indussero le due Camere ad accogliere un istituto di dubbia conformità con la Costituzione – dal momento che essa, nel solco del modello classico delle forme di governo parlamentari, prevede un rapporto fiduciario tra il Governo, nel suo complesso, e le Camere e non già tra ogni singolo Ministro e le stesse – sono di carattere prettamente procedurale: le mozioni presentate in precedenza, pur non recando alcun obbligo di dimissioni in capo al Ministro eventualmente colpito da esse, erano votate a scrutinio segreto e, in virtù di ciò, le «imboscate» dei franchi tiratori mettevano costantemente a repentaglio la permanenza in carica del Governo. Introducendo l’istituto della sfiducia individuale, invece, il principale effetto era quello di estendere alle mozioni rivolte al singolo Ministro la disciplina di voto prevista per le mozioni di sfiducia, la quale – com’è noto – esige lo scrutinio palese con votazione per appello nominale. In tal modo, la gestione del voto di sfiducia era più agevole e le probabilità che una maggioranza parlamentare, per quanto riottosa, potesse affondare il proprio Ministro si riducevano notevolmente. In effetti, per molti anni della mozione di sfiducia individuale non si parlò più, sino a che nel 1995 il Ministro della Giustizia Filippo Mancuso non fu costretto a dimettersi a seguito di un voto di sfiducia del Senato. Si trattava del primo – e, sinora, unico – caso di sfiducia ad un singolo Ministro, che peraltro si trascinò per molti mesi in virtù della decisione di Mancuso di sollevare un conflitto di attribuzioni presso la Corte costituzionale, ritenendo l’istituto della sfiducia individuale non conforme a Costituzione. La Corte, tuttavia, con la sentenza n. 7 del 1996 bocciò il ricorso, riconoscendo la piena conformità dell’istituto con il quadro costituzionale e chiudendo, una volta per tutte, la vicenda.

Nonostante ciò, la sfiducia al singolo Ministro resta un congegno difficile da inquadrare compiutamente. Per quale motivo le opposizioni dovrebbero limitarsi a colpire un Ministro se fossero in grado di coagulare una maggioranza parlamentare ed approvare una mozione di sfiducia all’intero Governo? E perché mai una maggioranza dovrebbe votare contro il proprio Ministro, vale a dire contro se stessa? In realtà, come l’esperienza di questi anni ha dimostrato, l’istituto della sfiducia individuale può fungere da pungolo nei confronti di un Ministro che, invitato più volte a dimettersi, non abbia ottemperato alla richiesta (come avvenuto nel caso di Mancuso). In altri casi, invece, è uno strumento nelle mani delle opposizioni per mettere in seria difficoltà una maggioranza debole e sfilacciata, incapace di difendere un proprio Ministro o indurlo alle dimissioni senza costringerlo a subire un voto parlamentare di sfiducia. Uno strumento con cui le opposizioni possono indurre una crisi di governo, colpendo l’esecutivo nel punto di maggiore debolezza.

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