di Alessandro Gigliotti
La recentissima decisione della Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità costituzionale vigente della legge elettorale rappresenta un terremoto di alta magnitudo per un sistema politico già scosso, negli ultimi tempi, da vari fenomeni tellurici che ne hanno messo a repentaglio la tenuta. In attesa di leggere le motivazioni, che saranno verosimilmente disponibili non prima della metà di gennaio, è lecito anticipare alcune riflessioni di ordine istituzionale.
Preliminarmente, il comunicato della Corte ci consente di ipotizzare, con un certo grado di approssimazione, che tipo di legge elettorale uscirà da Palazzo della Consulta. Annullate le disposizioni che prevedevano il premio di maggioranza, ne residuerà inevitabilmente un sistema elettorale di tipo proporzionale con soglia di sbarramento del 4% per la Camera e dell’8% per il Senato, a meno che la Corte decida di non caducare, accanto al premio, anche le norme che consentono il collegamento tra le liste; qualora ciò accadesse, resterebbero in vigore le soglie di sbarramento differenziate (2%, 4% e 10% per la Camera, ivi inclusa la norma che consente il ripescaggio; 3%, 8% e 20% al Senato). Più complesso il discorso relativo al voto di preferenza: il comunicato lascia presagire una sentenza additiva, in cui cioè la Corte aggiunge una norma costituzionalmente imposta – la preferenza unica – la sua assenza si poneva dunque in contrasto con la Carta fondamentale. Ma per averne certezza, non resta che attendere.
Ciò posto, quali prospettive si schiudono ora? Anzitutto, occorre rifuggire da alcune letture, che pure sono circolate in queste ore, secondo le quali la Corte avrebbe «imposto», più o meno arbitrariamente, un ritorno al sistema elettorale della Prima Repubblica. In realtà, pur con indubbie assonanze, non va dimenticato che le soglie di sbarramento del 4% per la Camera e dell’8% per il Senato costituiscono un forte temperamento dell’attitudine proiettiva del sistema, tanto che la legge che uscirà da Palazzo della Consulta sarà più simile, per alcuni versi, al sistema tedesco che non a quello italiano del 1948. A parte ciò, a quanti lamentano il fatto che la Corte avrebbe «preferito» il sistema proporzionale al maggioritario uninominale della legge Mattarella del 1993, va risposto che la Corte sembra aver accolto esattamente le censure formulate dal giudice a quo: nel petitum del ricorso, infatti, la Cassazione aveva chiesto l’annullamento delle disposizioni che disciplinavano il premio di maggioranza e l’espressione del voto (che escludeva l’esercizio delle preferenze). Nessuna richiesta di annullamento in toto della legge Calderoli (l. 270/2005); anzi, nel ricorso si legge addirittura che la questione di legittimità «non mira a far caducare l’intera legge n. 270/2005 né a sostituirla con un’altra eterogenea impinguendo nella discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati […] senza compromettere la permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali». Ne consegue che la Corte, per ripristinare la legge Mattarella, sarebbe dovuta andare oltre la stessa richiesta del giudice a quo ed avrebbe addirittura dovuto dichiarare l’incostituzionalità dell’intera legge elettorale vigente: non solo il premio, quindi, ma tutto il meccanismo di riparto proporzionale che ne costituisce l’architrave.
In secondo luogo, è bene rifuggire anche da un’altra erronea lettura, secondo la quale il Parlamento sarebbe vincolato dall’esito del giudizio presso la Corte, con la conseguenza che il sistema elettorale proporzionale sarebbe ormai intoccabile. È infatti molto probabile che la legge elettorale, deputata di premio e liste bloccate, sarà direttamente operativa e potrà essere immediatamente applicata, salvo qualche piccolo ritocco, al limite, per adattare la scheda elettorale. Ciò significa che il Parlamento potrebbe, del tutto legittimamente, decidere di mantenere la legge vigente: eliminati i profili incostituzionali, essa è pienamente idonea a disciplinare il metodo di elezione di deputati e senatori per gli anni a venire. È anche vero, però, che il Parlamento è libero – in qualunque momento – di apportarvi modifiche o di innovare totalmente, con l’unica limitazione di doversi mantenere nel corso che la Corte traccerà nella sentenza. In altri termini, il sistema maggioritario, nella sua variante a turno unico o a doppio turno, non è affatto precluso: si tratta, in ogni caso, di una scelta che rientra in tutto e per tutto nella discrezionalità del legislatore.