di Gabriele Maestri
Cosa unisce la fine del 2013 e l’inizio del 2014, abbuffate a parte? La riforma elettorale, per esempio. In fondo, il tema è stato presente nell’ultimo atto politico-istituzionale rilevante dell’anno vecchio, ossia il discorso di Giorgio Napolitano (in cui il presidente ha sottolineato che la riforma è «divenuta ancor più indispensabile e urgente dopo la sentenza della Corte Costituzionale») e ha fatto parte delle prime dichiarazioni di peso rilasciate dal neosegretario Pd Matteo Renzi già il 2 gennaio, con prevedibili strascichi di attacchi, risposte e proposte.
Renzi ha indicato ai partiti un ventaglio di tre opzioni, distanti tra loro. C’è il sistema simil-spagnolo (118 circoscrizioni, che “pesano” 4 o 5 deputati; la formula èproporzionale, la soglia di sbarramento è al 5% e la lista – bloccata – più votata a livello nazionale ha un premio del 15% dei seggi, 92 per ora), c’è il meccanismo del “sindaco d’Italia” per quanto riguarda gli schieramenti (con doppio turno di coalizione, il 60% dei seggi per la coalizione che vince, il resto da dividere in proporzione tra i perdenti e la soglia di sbarramento sempre al 5%, potendo scegliere se predisporre liste con le preferenze, liste bloccate ma corte, oppure collegi uninominali) e, infine, c’è il Mattarellum corretto (che assegna sempre il 75% dei seggi in collegi uninominali, mentre il resto è diviso tra un premio del 15% al partito/coalizione vincente e un 10% di “diritto di tribuna”, probabilmente da dividere in proporzione tra i perdenti che superano lo sbarramento).
Tutte le proposte dovrebbero rispettare – a detta di Renzi – i criteri di “accettabilità” che da mesi sono snocciolati dai partiti: qualunque legge va bene, purché mantenga un assetto bipolare, dia un risultato certo a spoglio effettuato e restituisca agli elettori la possibilità di scegliere candidati singoli o a piccoli gruppi. Non è scontato per tutti e tre i sistemi: in particolare, il risultato potrebbe non essere netto con il Mattarellum corretto e, ancor di più, con il sistema simil-spagnolo, visto che ora il sistema è tripolare (centrodestra, centrosinistra, M5S) e potrebbe rimanere così dopo il voto.
Alle proposte di Renzi i partiti iniziano a rispondere, ognuno attestandosi sul sistema che – al di là di ogni ipocrisia – gli conviene di più. Quello che può farlo vincere o che non lo condanna all’irrilevanza. Il MoVimento 5 Stelle invece segue due piste: alcuni parlamentari sono disponibili a far rivivere il Mattarellum così com’era (con il 75% di seggi assegnati col sistema maggioritario, gli altri con formula proporzionale), mentre ieri Beppe Grillo – lanciando una consultazione online per scrivere una riforma da sottoporre alle Camere nella prossima legislatura – ha diffidato dal mettere mano alla legge elettorale il Parlamento in carica, reo di essere «incostituzionale, i suoi eletti sono stati nominati, il premio di maggioranza è abnorme. In Parlamento – ha continuato il leader del M5S – siedono 150 abusivi eletti grazie al premio di maggioranza del Porcellum. Gi abusivi sono di Pd, Sel, Centro democratico e Svp».
Breve, ma necessaria, parentesi: non ci sono parlamentari più «abusivi» di altri, nemmeno quelli entrati alle Camere grazie al premio di maggioranza. Vista la censura della Corte al congegno delle liste bloccate previste dal Porcellum, tutti gli eletti sono «abusivi» alla stessa maniera, perché sono figli di quel sistema. Anche quelli – senza dubbio – che hanno affrontato il passaggio delle primarie o delle parlamentarie, visto che l’ordine all’interno delle liste in ultima battuta è comunque stato deciso “a monte”. E, a voler proprio scatenare la “caccia all’abusivo”, bisognerebbe farla bene: al Senato il premio di maggioranza è su base regionale e in sette regioni è stato conquistato dal centrodestra, per cui degli «abusivi» si ritrovano anche tra gli ex Pdl (ora in Fi e anche nel Ncd di Alfano) e negli eletti della Lega.
Detto questo, ognuno può avere la sua idea sul sistema migliore (e più conveniente) da adottare, ma le forze in campo farebbero meglio ad aspettare, perché fare i conti senza l’oste è pericoloso. Specie se l’oste veste l’ermellino e sta per emettere una sentenza. Dati i contenuti principali della decisione presa il 4 dicembre – cioè l’illegittimità del premio di maggioranza senza la previsione di una soglia minima e delle liste bloccate che «non consentono all’elettore di esprimere una preferenza» – solo il testo integrale della sentenza potrà chiarire meglio alcuni punti. Innanzitutto delineerà esattamente la normativa di risulta dopo la “demolizione” di due punti fondamentali della “legge Calderoli” (in particolare, chiarendo il funzionamento del meccanismo delle preferenze); soprattutto, però, dirà quali siano i «principi costituzionali» che qualunque legge elettorale è chiamata a rispettare. Che il Porcellum così com’era non rispettava e che il Parlamento dovrà necessariamente rispettare, se deciderà di approvare una nuova legge elettorale.
E così, per dire, si capirà cosa esattamente non andava delle liste bloccate previste dalla legge del 2005: se il problema era la loro lunghezza spropositata – come molti pensano – o se non erano legittime proprio perché bloccate. Perché in quest’ultimo caso, sempre per dire, il sistema simil-spagnolo proposto da Renzi naufraga subito, avendo una lista bloccata di 4 o 5 nomi. E salterebbe anche il Mattarellum, che nella parte proporzionale della Camera aveva (appunto) liste bloccate, contenenti 4 nomi al massimo. Insomma, attraverso le sue considerazioni – limate, c’è da giurarlo, fino al millesimo da tutti i giudici a partire dal testo che proporrà il relatore Giuseppe Tesauro – la Corte costituzionale potrebbe dire la sua non solo sul Porcellum, ma anche sulle tre carte calate da Renzi a inizio anno, come pure sul ritorno al Mattarellum o su altre ipotesi che dovessero emergere.
La Corte potrebbe non fermarsi qui. Sempre nell’ambito dei principi, potrebbe tracciare un sentiero al Parlamento indicando che, per esempio, le liste bloccate potrebbero andare bene se la loro compilazione fosse preceduta da meccanismi partecipati e trasparenti di scelta dei candidati (le primarie, dunque), purché rispettino condizioni predeterminate. La Consulta coglierebbe così due piccioni con una fava: lavorerebbe per ottenere una legge elettorale rispettosa della Costituzione e spingerebbe il Parlamento a regolare con legge un punto nevralgico della vita interna ai partiti – la selezione delle candidature – che ha un riflesso fondamentale sul gioco delle parti in campo. Potrebbe farlo con la (poco) segreta speranza che le Camere colgano l’occasione per normare per intero la “democrazia infrapartitica”, completando finalmente l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Forse però, in tempi di sobrietà obbligata, è bene accontentarsi: ottenere una buona legge elettorale sarebbe già molto.