Aspettando la Corte: dialogo con Antonio Agosta sulla legge elettorale

di Gabriele Maestri

Manca poco, forse qualche manciata di ore, alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale: si capirà finalmente quali ragioni l’hanno portata a dichiarare l’incostituzionalità di due punti chiave del Porcellum, ossia il premio di maggioranza (senza soglia) e la lista bloccata. Nel mondo politico c’è molta attesa per il testo integrale della sentenza, anche perché solo da quel momento in poi si potrà capire quali delle proposte di riforma del sistema elettorale (le tre formulate da Renzi e il ritorno al Mattarellum puro e semplice, voluto dal M5S) saranno effettivamente percorribili.

Anche gli studiosi però aspettano la motivazione della Consulta: in molti sono tutt’altro che convinti di una decisione che pure era stata invocata da più parti. Tra i perplessi, c’è anche Antonio Agosta, professore di Scienza politica all’università di Roma Tre. Non è un caso se ci facciamo spiegare da lui la genesi e le storture – vere o presunte – della “legge Calderoli”: Agosta è tuttora consulente del Ministero dell’interno, è tra i maggiori esperti di sistemi elettorali e ha contribuito tra l’altro alla stesura del Mattarellum (in particolare al disegno dei collegi). Particolare inedito: se in ambito politico la primogenitura del termine Porcellum per indicare la “legge Calderoli” sembra rivendicata da Francesco Rutelli, in ambito accademico a coniare quell’etichetta non sarebbe stato Giovanni Sartori – come indicato dai più – ma proprio Antonio Agosta. Il nostro dialogo (parzialmente anticipato su Termometro Politico) inevitabilmente parte da qui.

Antonio AgostaProfessor Agosta, dica la verità: il nome “Porcellum” l’ha inventato lei?

Direi di sì: può essere che ci siano più inventori contemporanei, ma per quanto mi riguarda nacque il venerdì dopo le elezioni del 2006 – Venerdì santo – in un dialogo con Sebastiano Messina, giornalista della Repubblica, poi trasfuso in un articolo pubblicato il 15 aprile. Messina mi chiese cosa sarebbe accaduto se gli stessi voti, che col sistema elettorale approvato nel 2005 avevano prodotto un’esigua maggioranza per la coalizione di Romano Prodi, fossero stati riferiti ai collegi del sistema precedente, introdotto nel 1993. Nella discussione, per riferirmi ai due modelli, per il vecchio sistema usai il termine coniato da Sartori, dunque Mattarellum; Calderoli aveva già definito la legge cui aveva lavorato «una porcata», così coniai il termine Porcellum, che piacque a Messina.

Dunque la genesi “accademica” del termine è questa…

Il mio nomignolo non era polemico, ma faceva scherzosamente il verso al modo sartoriano di personalizzare “alla latina” il sistema elettorale col nome di chi l’aveva promosso. Quando si discusse della riforma elettorale regionale del 1995, a molti commentatori non parve vero che il relatore di quella legge fosse Giuseppe Tatarella, per cui si parò subito di Tatarellum; da lì in poi un po’ tutti si sono esercitati col latinetto. Lo stesso Sartori, in effetti, chiamò il sistema promosso da Calderoli Proporzionellum, altri lo chiamarono Calderolum, mentre io scelsi appunto Porcellum.

Una definizione fortunata, non c’è che dire.

Al di là dell’uso giornalistico-politico, usai la stessa parola in un saggio, che firmai con Nicola D’Amelio e inserii in un’opera curata da Roberto Gritti e Mario Morcellini, Un voto senza precedenti. Quel saggio si concentrava sullo strumento delle simulazioni, a partire da quella di cui l’intervista parlava. Tenga presente che le simulazioni possono dare solo un risultato tendenziale, ma non si può dire che con il Mattarellum le cose sarebbero andate per forza come abbiamo calcolato noi: cambiando le regole, infatti, cambia tutto, anche il modo di votare.

Che risultati aveva dato quella simulazione?

Se quella volta Prodi vinse alla Camera per circa 25mila voti, lo 0,06%, con i collegi uninominali e a voti invariati avrebbe vinto Berlusconi: avrebbe ottenuto più collegi rispetto al centrosinistra, perché era diffuso in modo più omogeneo nel paese rispetto al centrosinistra. Del resto, feci questa simulazione per confermare una mia intuizione: con il Porcellum il centrodestra stava in qualche modo offrendo al centrosinistra – inconsapevolmente – la possibilità di concorrere alla pari.

La coalizione di Prodi se n’era resa conto?

No, anzi, il centrosinistra era convinto di essere danneggiato col nuovo sistema, perché nel maggioritario prendeva più voti, mentre il centrodestra si lamentava di non riuscire a trattenere sui candidati comuni dello schieramento i voti che i singoli partiti della coalizione riuscivano a ottenere nella quota proporzionale della Camera. C’è stata una confusione sulle convenienze, con tanto di accuse reciproche che non erano fondate.

E da lì, di fatto, è nato il “mito” della «porcata».

Badi, il termine «porcata» di Calderoli è stato usato violentemente contro di lui, come se avesse confessato l’intenzione di fare una cattiveria agli avversari, ma lui intendeva dire che in origine aveva immaginato un sistema più coerente, ma a furia di emendarlo tutto era peggiorato.

Ma allora perché si è arrivati a quella legge, se l’approdo finale è stato la «porcata»?

La riforma nacque all’inizio del 2005 dall’esigenza del centrodestra di cui dicevo prima, per cercare ridurre lo spread tra voti ai partiti nel proporzionale e voti ai candidati nel maggioritario. Un deputato di An, Enzo Nespoli, promosse una proposta per votare con una sola scheda alla Camera, con cui l’elettore avrebbe votato insieme il nome di un candidato uninominale e uno dei partiti a suo sostegno per il proporzionale: partito e candidato erano collegati tra loro, senza possibilità di “voto disgiunto”. A metà del 2005, con la crisi del governo Berlusconi, uscirono le resistenze dell’Udc, che era contro la riforma costituzionale voluta dalla Lega e l’assorbimento dei partiti del centrodestra in uno schieramento unico guidato da Berlusconi. Il Nespolum non piaceva perché, se permetteva di capire l’apporto di voti di ciascun partito, non risolveva il problema dell’equa rappresentazione dei voti nella coalizione, perché erano sempre i partiti a spartire tra loro, a monte, le singole candidature nei collegi uninominali: a una certa quota di voti nello schieramento poteva non corrispondere un adeguato numero di seggi. La soluzione “di Calderoli”, allora ministro delle riforme, fu frutto di una mediazione con l’Udc, che sostenne una riforma costituzionale che non condivideva in pieno, in cambio di una riforma elettorale che desse i seggi a ciascun partito in rapporto ai voti apportati alla coalizione. Non ci sono alla base motivi cospiratori: le ragioni sono molto più semplici.

Che sistema uscì dunque da quelle trattative?

Il sistema rendeva l’intero territorio nazionale – tranne la Valle d’Aosta, che continuava a seguire la sua strada – un unico collegio maggioritario: vincere alla Camera anche per un voto di differenza (e quella volta furono 24.755) voleva dire creare una differenza di 10 punti percentuali sui seggi a Montecitorio tra la coalizione vincitrice (il 55%) e lo schieramento o i vari schieramenti perdenti (il 45% nel complesso). Il risultato di sostanziale parità del 2006 si risolse – come in tutti i sistemi maggioritari – in favore di uno dei due schieramenti, quello dell’Unione. Se invece ci fosse stato il Mattarellum, come dicevo, probabilmente avrebbe vinto il centrodestra; di più, il centrosinistra per vincere col Mattarellum avrebbe dovuto distanziare il centrodestra di almeno quattro punti quanto a voti totali, proprio per la distribuzione non omogenea di cui dicevo prima. Nel 2013 io e D’Amelio abbiamo rifatto la simulazione, ce la chiesero i saggi nominati da Napolitano in aprile: anche allora, uscì che il Mattarellum invocato da tutti, di fronte a uno schieramento diviso in tre blocchi di dimensioni equipollenti, non avrebbe prodotto una maggioranza parlamentare. Avremmo avuto un Parlamento diviso in tre grandi schieramenti, più qualche seggio distribuito ad altre formazioni (a partire da Scelta civica) e ancora una volta la maggioranza relativa sarebbe spettata al centrodestra.

In che modo la distribuzione non omogenea del centrosinistra influiva sul risultato?

Con il Mattarellum, per dire, nei collegi in cui era più forte il centrosinistra stravinceva e quei voti di fatto andavano sprecati, ai fini del computo dei seggi; con il Porcellum, invece, come avviene per ogni buon “porcellum”, non si butta via niente, perché ogni singolo voto conta, viene utilizzato nel collegio unico nazionale alla Camera (o nel collegio nazionale al Senato) per determinare il premio di maggioranza. Certo, il Senato produceva irrazionalità, evidenti dall’inizio, al punto che quando si discuteva del Porcellum mostrai altre simulazioni al Quirinale e al ministro Pisanu: io – che non ho mai voluto il premio di maggioranza nazionale al Senato, come prevedeva il testo originario del Porcellum e che è stato “regionalizzato” dopo un intervento del Quirinale che ne lamentava l’incostituzionalità – per il Senato ho sempre proposto il mantenimento del vecchio sistema del Mattarellum oppure una formula assolutamente proporzionale. Ora, peraltro, il sistema per il Senato passa un po’ in seconda linea, visto che la prospettiva è di modificare il bicameralismo perfetto.

Eppure dei difetti del Porcellum si è parlato a ripetizione…

Beh, guardi, la dicitura Porcellum a quanto pare è stata tanto fortunata che tutti hanno pensato che non ci fosse nemmeno bisogno di analizzarne e dimostrarne i difetti, perché con quel nome doveva per forza essere la porcheria peggiore possibile. Lo stesso Prodi, in un libro curato da Furio Colombo, disse peste e corna di quel sistema elettorale, sulla scorta di altri commenti come quello di Amato, sostenendo che il Porcellum aveva distrutto il bipolarismo. In realtà lo ha esaltato: il massimo tasso di concentrazione bipolare si è avuto proprio nel 2006, quando nel collegio nazionale della Camera il 99,55% dei voti si concentrò nei due schieramenti guidati da Prodi e Berlusconi. Se dunque ogni voto col Porcellum è indispensabile, col Mattarellum solo in alcuni collegi marginali era necessario coinvolgere molti alleati. Tra l’altro, non si è mai detto che il Porcellum ha rafforzato la logica bipolare introdotta col Mattarellum.

In che modo?

Per dire, nel Mattarellum non c’era alcun vincolo alla presentazione di una coalizione omogenea sul piano nazionale, né esisteva obbligo di coerenza tra le coalizioni alla Camera e quelle al Senato. Con il Porcellum, invece, all’atto della presentazione del simbolo ogni forza politica è tenuta, oltre che a presentare il programma, a presentare un documento che fissa i collegamenti in coalizione per entrambe le Camere e per tutte le circoscrizioni: alleanze diverse non si possono fare. Un altro progresso bipolare del Porcellum è arrivato con la divisione dei seggi in proporzione ai voti attribuiti a ogni lista della coalizione, mentre prima il tutto veniva deciso all’atto della spartizione preventiva dei collegi tra i partiti della coalizione. Ricorderà la nota distinzione tra collegi blindati in cui la vittoria era assicurata, collegi marginali in cui si vinceva o si perdeva di poco, e collegi perdenti in partenza, nei quali la candidatura era una testimonianza e niente di più: nei collegi marginali le coalizioni avevano bisogno dei partiti minori, che in cambio chiedevano e spesso ottenevano molte candidature in collegi sicuri, contando alla fine magari su più seggi rispetto alla loro effettiva forza. Il tanto deprecato Porcellum, invece, lega la forza di ogni partito nella coalizione alla volontà degli elettori: per me non era la legge migliore, ma questo devo riconoscerlo.

Il ritratto che esce, però, a questo punto è quello di un sistema elettorale maggioritario, non proporzionale corretto…

Vede, lo stesso Sartori, chiamando il sistema Proporzionellum, commise un errore: non si abbandonava il bipolarismo per tornare al proporzionale. È vero, si votava di nuovo la lista, ma non vuol dire affatto che si sia adottato un sistema proporzionale; anche Roberto D’Alimonte ha qualificato il sistema come proporzionale, con premio di maggioranza variabile. In realtà è un sistema maggioritario di coalizione, con rappresentanza proporzionale delle minoranze: siamo nell’ordine dei sistemi elettorali che fecero da anello di congiunzione tra i maggioritari vigenti nell’800 e i proporzionali che per la prima volta furono introdotti in Belgio alla fine del secolo. Il problema è che questa “etichetta” del proporzionale ce la siamo tirata dietro fino a oggi, sviando anche la Corte costituzionale…

Lei crede che la Consulta abbia commesso un errore, dichiarando incostituzionale parte del Porcellum?

Subito dopo la notizia della decisione della Corte, dichiarai ad alcuni giornalisti che probabilmente la vox populi era stata tradotta in una vox iuris. Posto che non mi permetto di non accettare la sentenza della Corte, e posto che come tutti dovrò leggere il testo della sentenza, io non trovo nessun appiglio costituzionale per dire che il premio di maggioranza era del tutto illegittimo o che dovesse essere sottoposto a una soglia. Mi spiego meglio, la soglia è non è un argomento costituzionalmente necessario: può essere ragionevole, anche consigliabile. Si diceva prima che, quando il Parlamento ha adottato il Porcellum eravamo in una fase di bipolarismo frammentato, ma maturo, per cui il 99,55% scelse attraverso i partiti una coalizione o l’altra. Poi è accaduto che questa fiducia negli schieramenti è venuta meno: questo per l’incapacità della coalizione di Prodi di essere coesa per l’intera legislatura e per l’incapacità effettiva di governare del centrodestra, oltre che per le scissioni minacciate o praticate all’interno dei singoli partiti. Questo bipolarismo non ha retto alla prova del governo e le regole elettorali c’entrano poco: il Mattarellum nascondeva la frammentazione, il Porcellum l’ha resa evidente, ma non è colpa dei sistemi elettorali. Ora, a febbraio del 2013 oltre il 40% dei votanti non ha più avuto fiducia nelle due grandi coalizioni e la crisi ha messo in evidenza movimenti antipartitici. La regola elettorale però non deve pensare di rendere obbligatorio un cambiamento dei partiti, casomai non deve impedirlo: ci sono state troppe aspettative, anche le riforme elettorali di cui si parla in questi giorni vagheggiano l’esistenza di due grandi partiti o, al più, puntano alla semplificazione il quadro di tre partiti e mezzo.

senato31Quindi gli scontenti avrebbero dovuto prendersela coi partiti e non con la legge elettorale…

L’impressione è che sul Porcellum si sia concentrata tutta la delusione e la rabbia per la mancata maturazione del quadro politico: ecco che quella legge è sembrata essere la responsabile di tutto questo. Sì, la legge Calderoli produce una difficilissima situazione di governabilità per il Senato, ma non è vero che spacca il Parlamento in tre, quattro, cinque parti diverse. Ragionando sempre di impressioni, pare che la stessa Corte, per costringere il Parlamento a cambiare strada, abbia dato voce allo scontento del popolo, agganciandosi a due elementi che nell’opinione comune (sempre molto affollata) erano diventati i generatori del male: il premio di maggioranza e le liste bloccate.

Diceva prima del problema della soglia del premio.

Il premio rende governabile un Paese, non il contrario; certo, quando è eccessivo può delegittimare i governanti e occorre fare attenzione, ma allora la riflessione va fatta a monte, non sulla soglia ma sull’intera formula. Non a caso, l’olandese Arend Lijphart spiega che i sistemi elettorali non sono più o meno efficaci in via generale e astratta: ci sono sistemi più o meno adatti a una determinata società, così come ci sono vari tipi di democrazia. Su questo presupposto, nelle società frammentate (sul piano etnico, religioso, linguistico, …) è più indicato il proporzionale, che non a caso si è sviluppati prima in Belgio e in Svizzera; centovent’anni prima di Lijphart ci era arrivato il ginevrino Jules-Ernest Naville, dicendo in sostanza che pur essendo meno efficiente, il proporzionale in quelle società era più efficace perché garantiva la pace sociale e, per il suo tramite, la governabilità. Anche oggi Renzi parla di velocità di decisione, di efficienza, ma non è detto che l’efficienza e la semplificazione siano la scelta migliore. Non stupiamoci che il sistema non sia diventato bipartitico e non troviamo capri espiatori nelle leggi elettorali. Ci ha ingannato l’aspettativa che bastasse dare regole nuove per cambiare la realtà politica, che è figlia anche delle culture e delle divisioni che persistono tuttora tra le persone, nel loro animo.

Poi c’è il punto delle liste bloccate.

Qui la Corte costituzionale è stata molto rispettosa dei rilievi del Presidente della Repubblica, anche se non riesco a capire giuridicamente su cosa si fonda la sua decisione, specie sul punto che riguarda la preferenza: dove sta scritto che se si adotta il proporzionale dev’esserci la preferenza? La Spagna e la Germania, per dire, non mostrano sensibili differenze costituzionali sul punto, ma la preferenza non la prevedono. La decisione, stando all’unica nota ufficiale disponibile (dunque il comunicato della Corte), è molto curiosa, perché lascia invariate – o non sembra criticare – vari punti caratterizzanti della legge.

Ad esempio quali?

Penso intanto al presupposto del premio, cioè la coalizione, che resta, con tanto di obbligo di presentare candidati e programmi comuni. La coalizione sarebbe solo, a quanto pare di capire, una facilitazione ai partiti minori per godere di soglie di sbarramento più favorevoli per chi entra in coalizione. In più, mentre critica l’assenza della preferenza e il troppo potere che i partiti avrebbero nella determinazione degli eletti con la lista bloccata, la decisione non sembra toccare il potere che i partiti hanno, dopo il voto, di scegliere chi entra in Parlamento decidendo chi, tra coloro che si sono candidati in più circoscrizioni, si dimette in questa o in quella circoscrizione, magari facendo entrare chi sembrava del tutto ineleggibile. Sono tutti accordi e decisioni post-voto, che prescindono in toto dalla volontà degli elettori e della loro libertà di voto. Diverso sarebbe stato, per dire, se si fosse eliminata la possibilità di praticare la multicandidatura, ma su questo la Corte non dice nulla.

In effetti però nell’ordinanza con cui la Cassazione ha sollevato la questione, non c’è alcuna richiesta in tal senso.

È vero, ma nulla impedisce alla Corte di trovare altri difetti oltre a quelli segnalati: credo che il punto non sia la singola norma o il singolo meccanismo, quanto la logica che qui non rispetta la libertà degli elettori, che si manifesta anche con queste operazioni a posteriori.

Si poteva intervenire per evitare questo problema?

Beh, quando io sono stato ascoltato in Parlamento in alcune audizioni, avevo evidenziato il fatto che nulla ci impediva di modificare anche le circoscrizioni, facendole diventare più numerose: in quel modo, avremmo avuto liste bloccate più corte – un po’ come il sistema spagnolo, per dire – e avremmo risolto il problema, anche perché il cambio non avrebbe inciso sull’assegnazione dei seggi agli schieramenti, visto che avviene a livello nazionale e non delle singole circoscrizioni.

Ha citato uno dei tre sistemi che è entrato a far parte della terna proposta da Matteo Renzi, assieme al Mattarellum corretto con premio di maggioranza e al “sindaco d’Italia”…

Pensi che io sono l’autore materiale della legge che ha portato all’elezione diretta dei sindaci: la scrissi nel 1988 in un documento che mi aveva chiesto l’allora direttore dell’amministrazione generale Antonio Lattarulo. Quel sistema, che Adriano Ciaffi riutilizzò a distanza di qualche anno nel 1993, fu criticato da colleghi “riformisti” – penso ad Augusto Barbera, Gianfranco Pasquino, ma anche a Stefano Ceccanti e Salvatore Vassallo – perché prevedeva la coalizione tra partiti, mentre loro avevano in mente piuttosto un sistema a lista unica e senza coalizioni, i comuni sotto i 15mila abitanti. Per loro la coalizione, così come la previsione della doppia scheda alla Camera, era un modo per tenere in vita partiti che dovevano essere dichiarati defunti, a favore della creazione di grandi partiti di area: questa però sarebbe stata una forzatura della realtà.

Delle tre proposte indicate da Renzi, qualcuna le sembra più indicata di altre per l’Italia?

In questo momento, quella che mi sembra più semplice da realizzare – sempre che non ci sia un veto della Corte – è quella del doppio turno di coalizione, proprio quella del “sindaco d’Italia” che però altro non è che un Porcellum rivisitato. Poi c’è il Mattarellum rivisitato, che però mi sembra complicato per come è fatto, e poi il sistema “spagnolo”. Su questo non avrei nulla da obiettare, ma non per come lo stanno descrivendo sui giornali, che parlano di 118 circoscrizioni, probabilmente da ricavare a partire dalle province. A quel punto, infatti, a Costituzione invariata avremmo almeno una trentina di circoscrizioni che eleggerebbero uno o al massimo due deputati: così il sistema è uninominale, dov’è il proporzionale, che ha bisogno almeno di 3 seggi per circoscrizione? Questo fenomeno si aggraverebbe riducendo il numero dei parlamentari e noi, anche se nessuno ne parla, dobbiamo darci un sistema che funzioni in modo accettabile anche in prospettiva di quella riforma.

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