Elezioni provinciali. Qualcosa di nuovo, anzi d’antico

di Vincenzo Iacovissi

Entro il 12 ottobre prossimo avranno luogo le prime elezioni provinciali c.d. di secondo grado, ossia consultazioni in cui non parteciperanno i cittadini nella scelta dei livelli di governo, ma solo gli amministratori comunali.

Come è noto, l’abolizione dell’elezione diretta per gli organi delle province costituisce l’architrave della “riforma Delrio”, introdotta con la legge n. 56/2014 del 7 aprile scorso, e poi parzialmente modificata nei mesi successivi.

Le disposizioni di questa legge, nel dare attuazione alle città metropolitane e nel prevedere maggiori forme di aggregazione tra Comuni, configurano un nuovo assetto degli enti provinciali dal punto di vista funzionale nei rapporti con gli altri attori istituzionali, ma, soprattutto, ne mutano profondamente il canale di legittimazione tramite l’elezione indiretta dei suoi organi di indirizzo politico-amministrativo. Tutto questo, è bene precisarlo sin da ora, in attesa della riforma costituzionale del Titolo V e, quindi, del definitivo superamento di tali enti con la loro scomparsa dall’ordinamento.

Il nuovo assetto istituzionale delle province è, pertanto, regolato da un complesso di norme contenute tra il comma 51 e il comma 96 dell’art. unico di cui si compone la già citata legge Delrio.

Vediamone insieme i caratteri principali.

Anzitutto, scompare la Giunta, e quindi gli assessori provinciali.

In secondo luogo, gli organi della nuova provincia divengono:

  1. Presidente, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali nell’ambito dei soli sindaci in carica (il cui mandato non scada prima di diciotto mesi dalla data delle elezioni provinciali): dura in carica 4 anni e non è removibile da parte del Consiglio, ma decade dalla carica in caso di cessazione del mandato da sindaco.
  2. Consiglio provinciale, composto, oltre al Presidente, da 10, 12 o 16 membri, a seconda della popolazione, eletti da sindaci e consiglieri comunali nel proprio seno per un mandato di due anni, con decadenza in caso di cessazione del rispettivo incarico comunale (salvo il caso di rielezione alla carica di sindaco o consigliere).
  3. Assemblea dei sindaci, presieduta dal Presidente, con compiti propositivi e consultivi rispetto agli altri organi, e con il potere di approvare ed emendare lo statuto provinciale.

Il meccanismo di elezione per Presidente e Consiglio è distinto, benché entrambi gli organi ricevano una legittimazione di tipo indiretto con il c.d. “voto ponderato”, ossia di diverso peso a seconda della fascia demografica di appartenenza degli aventi diritto al voto.

Ogni amministratore comunale esprime due voti in due schede, l’una per il Presidente, l’altra per il Consiglio, potendo, nel secondo caso, optare per un voto di lista oppure per un voto di lista con una preferenza tra i candidati consigliere.

È eletto Presidente il candidato che ottenga il maggior numero di voti a seguito delle operazioni di ponderazione, e in caso di parità, la carica è assegnata al candidato più giovane per età.

I seggi del Consiglio vengono invece ripartiti proporzionalmente tra le liste in competizione, sulla base della cifra ponderata di ciascuna lista e la cifra ponderata individuale dei singoli candidati.

Una norma transitoria riconosce, infine, l’elettorato passivo per le cariche di Presidente e consigliere anche in favore dei consiglieri provinciali uscenti, ma unicamente in sede di prima applicazione del nuovo sistema di elezione.

In terzo luogo, la legge stabilisce la gratuità di tutti gli incarichi provinciali.

Alla luce del complesso delle disposizioni richiamate, appare abbastanza nitida la radicale trasformazione che le province italiane stanno per subire dal punto di vista della legittimazione e della loro stessa natura di ente rappresentativo.

Non volendo esprimere un giudizio affrettato o pregiudiziale rispetto al nuovo assetto, non ci si può esimere dal formulare alcune considerazioni.

  1. Il meccanismo di elezione indiretta, oltre a ridurre la valenza politica dell’ente, può comportare la stipulazione di intese tra forze politiche locali spesso al di fuori dalle logiche competitive di una democrazia matura.
  2. La mancata previsione di strumenti di controllo del Consiglio nei confronti del Presidente, e viceversa, rischia di comportare un assetto di “governo diviso”, con Presidente e Consiglio espressione di connotazioni politiche differenti, oppur dar luogo a fenomeni di consociativismo più o meno intenso, con tutte le potenziali conseguenze sulla funzionalità dell’ente stesso facilmente intuibili.
  3. Il cumulo di due o tre incarichi in una sola persona, come ad esempio, sindaco-consigliere comunale-Presidente della provincia, oltre a stridere con il clima di razionalizzazione e sobrietà imposto dalle conseguenze della crisi economica e dall’esplosione di fenomeni dell’antipolitica, contiene, in nuce, una difficoltà strutturale per lo svolgimento efficiente di tutti gli incarichi, abbassando il rendimento complessivo delle istituzioni locali.
  4. La gratuità degli incarichi provinciali, se può essere preferita agli sperperi troppe volte emersi negli ultimi anni, finisce per svilire lo stesso ruolo di amministratore provinciale, con effetti, anch’essi, potenzialmente negativi sull’operatività degli organi monocratici e collegiali.
  5. La facoltà, per il Presidente, di affidare deleghe ai singoli consiglieri provinciali ripropone il tema della necessità di una “squadra di governo” che si pensava superata con l’eliminazione delle Giunte, le quali, peraltro, fino al recente passato, erano almeno sottoposte all’indirizzo e controllo del Consiglio, circostanza assolutamente assente nella normativa attuale.

In questa cornice, le province divengono enti di coordinamento di aree vaste, con connotati prevalentemente amministrativi ma all’interno dei quali, il ceto politico locale riacquista un ruolo cruciale nelle dinamiche di governo della collettività, realizzando, nei fatti, una sorta di eterogenesi dei fini rispetto alla ratio della riforma stessa, volta, come spesso ricordato dai proponenti, a semplificare la politica e ridurre la spesa.

Su tutto, pesa, infine, la spada di Damocle dell’abolizione costituzionale dell’ente provincia, che rende ancora più precario uno scenario che, ai nastri di partenza, presenta sicuramente molte novità, ricche, però, di altrettante (e forse più rilevanti) incognite.

 

 

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