di Alessandro Gigliotti
È in corso il passaggio decisivo per l’approvazione della nuova legge elettorale e la Camera è in fibrillazione dopo la decisione del Governo di porre la questione di fiducia. Il Partito democratico è infatti spaccato, con parte della minoranza decisamente contraria al disegno di legge e seriamente intenzionata a non partecipare al voto.
Il punto maggiormente contestato, com’è noto, è quello dei capilista bloccati. I critici hanno evidenziato in proposito che in virtù di tale metodo il numero di parlamentari eletti senza indicazione popolare potrebbe superare anche il 50% del totale. Inoltre, le liste medio-piccole, aventi cioè un numero di eletti inferiore a 100, finirebbero per eleggere quasi esclusivamente i capilista, con la conseguenza che il voto di preferenza si tradurrebbe per loro in una mera finzione.
In realtà, la polemica sul voto di preferenza è eccessivamente enfatizzata, poiché si basa sull’errato presupposto secondo cui le liste bloccate sarebbero in quanto tali contrarie al dettato costituzionale. In realtà, la sentenza della Corte sulla legge Calderoli ha chiarito che il metodo della lista bloccata è senz’altro ammissibile sia nel caso in cui le circoscrizioni abbiano un’ampiezza non eccessiva, sia nel caso in cui venga applicato solo per una parte dei seggi. Occorre poi considerare che il voto di preferenza, regolarmente adottato nelle consultazioni europee, regionali e locali, non garantisce automaticamente la qualità della classe politica, né tanto meno ha evitato, anche in tempi recenti, fenomeni di corruttela. La scelta in favore del voto di preferenza, delle liste bloccate o di un sistema ibrido come quello del capolista bloccato, è pertanto da lasciare alla discrezionalità del legislatore. Può piacere o meno, può essere discutibile fin quanto si vuole, ma è senza dubbio legittima.
Il vero punto debole dell’Italicum è invece un altro: il premio di maggioranza. Com’è noto, la legge Calderoli è stata dichiarata costituzionalmente illegittima proprio nella misura in cui prevedeva un premio senza soglia minima, il che permetteva – ed ha permesso, segnatamente, alle ultime elezioni politiche – a forze politiche ben lontane dalla maggioranza dei voti di conseguire un’ampia maggioranza parlamentare. Opportunamente, la soglia ora c’è ed è adeguatamente fissata al 40% dei voti validi, tuttavia essa viene vanificata proprio nell’ipotesi in cui nessuna lista la consegua. In tali casi, il premio è assegnato alla forza politica che prevale al ballottaggio, cui sono ammesse le due liste più votate al primo turno.
Così congegnata, la legge individua sempre e comunque un vincitore, quale che sia l’esito elettorale e quale che sia il grado di frammentazione esistente all’interno del sistema partitico. Esattamente come la vituperata legge Calderoli. Applicando l’Italicum ai risultati del 2013, si evince infatti che il premio sarebbe assegnato, al ballottaggio, alla lista del Partito democratico o a quella del Movimento 5 Stelle. Entrambe con il 25% dei voti. Né si può escludere che le forze politiche ammesse al ballottaggio siano sostenute da una parte estremamente ridotta del corpo elettorale, vicina o minore del 20%. Qui la vera innovazione consiste nel fatto che l’Italicum subordina l’assegnazione del premio ad un turno di ballottaggio in cui la scelta definitiva spetta al corpo elettorale. È una differenza di non poco conto. Il doppio turno con ballottaggio, tuttavia, è un metodo che si presta all’elezione di organi monocratici, come il Sindaco o il Presidente della Regione, e non certo del Parlamento che è un organo collegiale chiamato peraltro a rappresentare il popolo sovrano.
Altra questione rilevante è quella dell’assegnazione del premio alla lista più votata e non più alla coalizione, come previsto nella formulazione originaria del testo. Sul punto, si è detto che tale statuizione risponde alla ratio di evitare il fenomeno, ben conosciuto da vent’anni a questa parte, delle coalizioni eterogenee e litigiose, funzionali alla competizione elettorale ma molto meno all’azione di governo. Ebbene, anche questa modifica pone diversi problemi. La possibilità di creare coalizioni risponde pienamente alla logica del premio di maggioranza, tanto che tutte le leggi italiane che hanno previsto tale istituto – sin dalla legge Scelba del 1953 e con l’emblematica esclusione della legge Acerbo del 1923 – hanno ammesso il collegamento tra le liste. Ciò per creare un incentivo alla formazione di due schieramenti alternativi, in ottica bipolare, e per evitare un’eccessiva discrepanza tra i voti conseguiti e i seggi assegnati. Il premio alla lista, invece, è maggiormente rischioso poiché in caso di frammentazione permette una sperequazione tra voti e seggi che può raggiungere livelli elevati, ad esempio se le due liste maggioritarie o una di queste sono prossime al 20% ovvero al di sotto di tale soglia.
Questo, in conclusione, il vero problema: il carattere iper-maggioritario della legge elettorale che si sta per approvare. Una legge che somiglia troppo alla precedente e che non ha eguali nel panorama del costituzionalismo europeo e mondiale. Peccato che, tra le mille polemiche di questi giorni, tale aspetto non sia stato neppure accennato.