di Vincenzo Iacovissi
foto: elmundo.es
Era atteso dai sondaggi, ma adesso sarà un rompicapo. Il commento di molti osservatori alle elezioni tenutesi in Spagna domenica scorsa può riassumersi così. Infatti, a leggere i risultati delle consultazioni per il rinnovo del Parlamento si resta sorpresi, non tanto per l’affermazione delle due forze c.d. antististema, Podemos a sinistra e Ciudadanos al centro, quanto per l’assenza di una maggioranza autonoma da parte delle altre due forze, popolari e socialisti, che dalla fine della dittatura franchista avevano conformato un sistema bipartitico completato da partiti a vocazione regionale.
Invece, la Spagna del dopo voto si risveglia caratterizzata da un quadripartitismo nel quale è molto difficile, al momento, prevedere convergenze per la formazione di una maggioranza di governo.
I popolari, con il 28,7% dei suffragi, ottengono 123 seggi sui 350 del Congreso de los Diputados (la sola Camera legata al Governo da un rapporto fiduciario), seguiti dai socialisti con 22,0% e 90 deputati, tallonati dai 69 di Podemos (20,3%) e dalla quarta forza, Ciudadanos con 40 (13,9%).
Come si evince dai dati, nessuna forza al momento dispone dei numeri necessari a formare una maggioranza assoluta (176 seggi), e neanche il ricorso all’insieme dei 28 seggi ottenuti dai soggetti minori – peraltro estremamente complicato – consentirebbe di raggiungere simile risultato.
Cosa accadrà adesso? È la domanda che si pongono in molti. Fuor di previsioni, molto azzardate a poche ore dalla chiusura delle urne, limitiamoci a sottolineare procedure e protagonisti delle prossime fasi.
Il procedimento di formazione del Governo è disciplinato dall’art. 99 della Costituzione del 1978, laddove si prevede che sia il Re, in qualità di capo di Stato, il soggetto cui compete, per il tramite del Presidente del Congreso, la proposta di un candidato dalla guida dell’Esecutivo; ciò ovviamente dopo consultazione con i rappresentanti dei gruppi politici presenti nella Camera bassa e quindi alla luce dei risultati elettorali. Il candidato così proposto chiederà la fiducia alla Camera sulla base di un proprio programma e, se otterrà il voto favorevole della maggioranza assoluta dei deputati verrà nominato Presidente del Governo. In caso contrario, dopo 48 ore si terrà una nuova votazione in cui basterà la maggioranza semplice. Nelle ipotesi di fallimento anche del secondo tentativo, dovranno esplorarsi nuove candidature con le medesime procedure. L’art. 99, infine, fissa in due mesi dalla prima votazione di fiducia il termine entro cui ottenere la fiducia della Camera, pena lo scioglimento anticipato della stessa e l’indizione di nuove elezioni.
Finora le norme. Cosa implicheranno dell’immediato?
Nei prossimi giorni le forze politiche avvieranno gli incontri programmatici e politici, e dopo l’insediamento della Camera il Re Felipe IV dovrà avviare le consultazioni per tentare di sciogliere il nodo istituzionale. È ragionevole ipotizzare che saranno i popolari del premier uscente Rajoy ad assumere l’iniziativa, in virtù del primo piazzamento nella “classifica” dei partiti spagnoli. Come abbiamo appena visto, la Costituzione ammette anche la formazione di un Governo di minoranza, quindi al di sotto del quorum di 176 seggi, e forse tale eventualità potrà rivelarsi un’alternativa in caso di fallimento dei negoziati.
In virtù delle dichiarazioni rese durante la campagna elettorale, si potrebbe prefigurare un’alleanza tra popolari e Ciudadanos, ma anche questa convergenza non consentirebbe di raggiungere quota 176, fermandosi a 163. Stesso discorso dicasi in caso di rassemblement tra socialisti e Podemos, che arriverebbero a 159 deputati. Non si può escludere, quindi, la formazione di una grande coalizione tra i primi due partiti spagnoli che, sommando i propri seggi, salirebbero a quota 213; risolverebbero il problema numerico, ma con ogni probabilità il dato politico di cambiamento emerso dal voto resterebbe privo di risposta.
In uno scenario così fluido, sarà quindi molto interessante verificare come il sistema spagnolo reagirà allo tsunami elettorale, anche per trarre utili indicazioni relative ad altri possibili, e similari, risultati in altri Paesi dell’area euro.
Resta un’unica certezza: anche la Spagna ha abbandonato il modello bipartitico, e forse la dinamica bipolare di funzionamento del sistema, che ne aveva caratterizzato l’esperienza democratica sin dalla sua nascita. Come la nouvelle vague della politica, nella penisola iberica ma non solo, saprà tradurre la forza elettorale in forza di governo, è l’enigma del nostro tempo. In Europa, e nel mondo democratico.