di Alessandro Gigliotti
Siamo ormai a poche ore dal referendum abrogativo sulle trivelle ed è bene chiarire alcuni aspetti per chi si accinge al voto o per chi, molto più semplicemente, vuole capire meglio di cosa di tratta.
Anzitutto, occorre premettere che il testo unico in materia ambientale (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) pone da alcuni anni un divieto generale di effettuare attività di ricerca, di prospezione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sia all’interno del perimetro delle aree marine e costiere, sia nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalla costa (art. 6, comma 17). Con l’evidente obiettivo di tutelare ambiente ed ecosistema, in tali aree non è quindi possibile ricercare giacimenti, né tanto meno procedere all’estrazione di gas o di greggio. La legge, tuttavia, fa salve tutte le attività poste in essere dai soggetti cui sia stata accordata una concessione. Più in dettaglio, sino a qualche mese fa, il testo unico stabiliva che il divieto non si estendeva né alle concessioni in essere, le quali potevano peraltro essere prorogate alla loro scadenza, né ai procedimenti concessori che erano stati avviati al momento di entrata in vigore della norma stessa (agosto 2010).
Il quesito predisposto dal comitato promotore interveniva su questo aspetto, mediante l’abrogazione di alcune disposizioni del comma 17 dell’art. 6 che facevano salve, come si è visto, sia le concessioni in essere, con possibilità di proroga, sia i procedimenti concessori già avviati. La disposizione residua faceva salvi esclusivamente i titoli abilitativi già rilasciati, vale a dire le sole concessioni in essere, senza alcun richiamo alla possibilità di proroga.
Sennonché, con la legge di stabilità 2016 la disposizione richiamata è stata modificata ed attualmente l’art. 6, comma 17, recita nel seguente modo: «i titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale». Come si può ben notare, ad oggi entro le dodici miglia sono consentite le attività estrattive dei soggetti che abbiano una concessione in essere, ma a differenza del passato tali concessioni non hanno scadenza e restano operative per tutta la durata di vita utile del giacimento. In teoria, anche all’infinito. A seguito di tale innovazione legislativo, l’Ufficio centrale per il Referendum, istituito presso la Corte di Cassazione, ha però provveduto a «trasferire» il quesito dalle vecchie disposizioni alle nuove, avendo ritenuto che queste ultime non modificassero nella sostanza le precedenti. L’attuale quesito, quello su cui si voterà domenica, è quindi leggermente diverso dall’originale e punta ad abrogare le parole «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
La questione su cui gli italiani sono chiamati a pronunciarsi, pertanto, è molto distante da quello di cui si parla in queste ultime settimane. Non è in gioco la questione delle fonti rinnovabili, né si tratta di scegliere tra queste e le fossili nel contesto della politica energetica nazionale. Segnatamente, in caso di vittoria del «no» la normativa descritta rimane inalterata: permane il divieto di nuove trivellazioni entro le dodici miglia ma sono fatte salve le concessioni in essere per tutta la vita utile del giacimento. Qualora dovessero prevalere i «sì», invece, le attività estrattive dovranno cessare una volta scadute le concessioni, senza alcuna possibilità di proroga, a prescindere dalla quantità di gas o di greggio ancora estraibile. Gli elettori, pertanto, sono chiamati a decidere sulla durata delle concessioni già in essere per le attività estrattive entro le dodici miglia, se cioè queste debbano divenire non più prorogabili alla loro scadenza o se invece debbano restare operative fintanto che sia possibile estrarre petrolio o gas.
Il tema, come si può notare, è estremamente tecnico ed è pertanto difficile prendere una posizione sul merito. Ma si può senz’altro escludere che si tratti di un referendum dagli scarsi effetti pratici. Di per sé, i sostenitori del «sì» fanno giustamente notare che la legge pone da tempo un divieto generale di estrazione di idrocarburi entro le dodici miglia, con finalità di tutela ambientale. Per tale ragione, non potendo revocare le concessioni da un giorno all’altro, sarebbe opportuno consentire le estrazioni sino alla loro scadenza senza però concedere ulteriori proroghe. La ratio del divieto sarebbe altrimenti elusa. Altro argomento in favore del «sì» scaturisce dal fatto che le norme vigenti non pongono una scadenza precisa per le attuali concessioni. Oltre ad essere inopportuna in quanto tale, una concessione ad infinitum sembra entrare in conflitto con l’esigenza di tutela ambientale che è alla base della legge e dello stesso articolo.
D’altro canto, i sostenitori del «no» mettono in evidenza che i rischi ambientali sarebbero tutto sommato limitati, poiché dagli impianti interessati si estrae quasi esclusivamente gas metano e pochissimo petrolio. Inoltre, pur ragionando di idrocarburi che coprono solo il 3% (gas) e l’1% (petrolio) del fabbisogno nazionale, rinunciarci sarebbe sbagliato perché così facendo si finirebbe per aumentare la già forte dipendenza dalle importazioni di fonti energetiche. L’imminente chiusura di molti impianti, le cui concessioni scadono a breve, determinerebbe peraltro la perdita di un consistente numero di posti di lavoro, oltre che delle royalties e delle altre imposte che Stato ed enti locali incamerano.
Se dal punto di vista tecnico è quindi difficile stabilire quale delle due posizioni sia più funzionale al bene del Paese e dei cittadini, dal punto di vista politico la consultazione va ben oltre ed investe non soltanto la questione della migliore politica energetica da perseguire nei prossimi anni, ma anche l’operato del Governo in carica. Da questo punto di vista, la vittoria del «sì» contribuirebbe certamente a rafforzare il fronte dei sostenitori delle fonti rinnovabili e della necessità di superare prontamente le fonti fossili per ridurre l’inquinamento atmosferico mondiale. Dall’altro lato, i comitati per il «no» non mettono in discussione il fatto che le rinnovabili siano il futuro e che non si possa prescindere da investimenti in questo settore, ma sottolineano che gli idrocarburi sono fonti di energia di cui non si può fare a meno se si vuole soddisfare il sempre crescente fabbisogno energetico europeo e mondiale.
Da ultimo, è d’uopo una breve considerazione sulla questione del quorum di validità. Com’è noto, il referendum abrogativo necessita di un quorum pari alla metà più uno degli aventi diritto al voto, soglia che negli ultimi vent’anni è stata raggiunta solamente in occasione della tornata del 2011. Guarda caso, tra i quattro quesiti ce n’era uno riguardante il nucleare. Non occorre precisare che il raggiungimento del quorum è da tempo la vera posta in gioco: ciò per il semplice motivo che mentre i sostenitori del «sì» devono recarsi alle urne per far prevalere la loro posizione, i sostenitori del «no» possono rifugiarsi nell’astensione. Negli ultimi anni, la tendenza è stata questa ed il confronto non si gioca più tra favorevoli e contrari, ma tra favorevoli e astensionisti. Ciò rende la competizione oggettivamente sbilanciata in favore dei sostenitori del «no», i quali traggono indubbio vantaggio dall’astensionismo «fisiologico» che si va a sommare a quello «strategico». Per tale ragione, oltre che per non alimentare il distacco dalla politica che colpisce in modo particolare le nuove generazioni, sarebbe preferibile che la partita si giocasse ad armi pari e che tutti si recassero alle urne per esprimere il proprio voto, sia esso in un senso o nell’altro. Gli inviti all’astensione, provenienti anche da rilevanti attori politici, sono del resto comprensibili poiché la storia più recente insegna che il raggiungimento del quorum determina la vittoria quasi certa del «sì». Vedremo anche stavolta lo stesso copione? Non resta che attendere e, nel frattempo, documentarsi adeguatamente per poter assumere una posizione consapevole, quale che essa sia.