di Gabriele Maestri
Ambiente un po’ meno intimo, più istituzionale ma non algido, più “alla mano”. Questa è stata l’impressione “a colpo d’occhio” trasmessa dalle prime inquadrature del messaggio di fine 2016 del Presidente della Repubblica, il secondo di Sergio Mattarella. Niente studio “alla vetrata”, niente oro o colori brillanti, niente caminetto del salottino dell’appartamento privato come l’anno scorso: questa volta, per le sue “esternazioni codificate” di fine anno, il Capo dello Stato ha scelto una delle sale del Torrino.
Per i diciassette minuti di discorso, il “set” è stato di certo studiato a fondo (quell’ambiente non è certo uno dei più noti e utilizzati del Quirinale, né sembra il più adatto per ricevere persone): nessun colore squillante, nemmeno quello della poltrona dorata della volta scorsa, sostituita da una sedia imbottita di legno al colore naturale, più caldo e familiare. Al di là dei fari per le riprese, si è fatta notare solo la luce attenuata delle lampade, trasmettendo un clima più ovattato, cosa che la scelta di un ambiente più “istituzionale” dello scorso anno avrebbe potuto non creare.
Sarà stato forse merito anche del setting scelto (oltre che della maggior esperienza maturata fin qui) se Mattarella, tutto sommato, è apparso meno imbarazzato e più sciolto rispetto al suo primo messaggio: lo dimostravano anche lo sguardo quasi sempre verso le camere e l’affidamento più consapevole al teleprompter che suggeriva il testo, senza che le mani questa volta reggessero alcun foglio. Il Presidente aveva bisogno di sentirsi a proprio agio, per poter far sentire a loro agio gli Italiani cui si rivolgeva.
Non stupisce, da questo punto di vista, che il discorso sia iniziato ponendo l’accento su ciò che ha unito e unisce il Paese in “una comunità di vita”. Il riferimento è alle “energie positive” manifestate dalla gente comune e da chi si spende per gli altri, alla voglia di rievocare le radici della nostra democrazia (e della partecipazione delle donne, conquistata con tanta fatica), così come alla reazione accorata di vicinanza e solidarietà verso le vittime del terrore, della vergogna di Stato (come Giulio Regeni), degli incidenti e delle calamità naturali, in particolare del terremoto.
Era ed è certamente questa “l’Italia migliore” (anche se Mattarella non ha usato quest’espressione), la stessa che si è entusiasmata in modo genuino per le vittorie azzurre nello sport (bello il riferimento a Bebe Vio e al suo “entusiasmo travolgente”) o che può essere stata contenta che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre abbiano potuto trascorrere entrambi in Italia il Natale (peccato solo che per qualcuno il riferimento ai marò sarà l’unica cosa da salvare del discorso di fine anno…). Il Presidente, tuttavia, ha subito precisato che “la comunità va costruita, giorno per giorno, nella realtà”: proprio qui, dopo aver delineato con semplicità e nettezza ciò che unisce il Paese, il discorso si è spostato su quello che lo divide.
Non è un caso che, dopo l’inevitabile riferimento al lavoro che manca o non dà abbastanza da vivere, Mattarella abbia parlato espressamente di “fratture da prevenire o da ricomporre”. E se ha subito parlato di distanze sociali, lavorative, economiche tra gruppi di persone o parti d’Italia, il cuore del discorso era quello delle fratture politico-sociali, emerse fin qui o a rischio di nascere in futuro. L’invito a ricomporre e prevenire è rivolto a ogni cittadino, ma soprattutto a “chi ha la responsabilità di rappresentare il popolo, a ogni livello”.
Questo doppio livello di azione e testimonianza è emerso in particolare con riguardo all’insicurezza legata al terrorismo e alla presenza dei migranti sul territorio italiano, uno stato d’animo da non sottovalutare, ma che “non va alimentato, diffondendo allarmi ingiustificati”. Inevitabile, a quel punto, il riferimento a un “insidioso nemico della convivenza”: l’odio “come strumento di lotta politica”, magari anche all’interno della Rete, trasformata “in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi”. E’ probabile che il riferimento all’odio e alla violenza verbale, come minaccia alla sopravvivenza della società, non sia piaciuto ad almeno due forze politiche presenti in Parlamento; quanto all’accenno a internet e alle bugie che vi circolano, potrebbe rimandare al recentissimo invito – subito attaccato da Beppe Grillo – del presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella alla creazione di una rete di autorità nazionali indipendenti volte a individuare le “bufale on line” e a sanzionarne gli autori. Di certo, però, quello di Mattarella è solo un appello politico (nel senso più alto del termine), tanto condivisibile quanto privo di cogenza.
Al di là del riferimento ai giovani – “la generazione più istruita” rispetto alle precedenti ma anche quella che soffre di più sul piano del lavoro e del protagonismo nella vita sociale di questo Paese – e all’Europa che, anche grazie a loro, non è “semplicemente il prodotto di alcuni Trattati” e non dev’essere più “divisa e inerte, come avviene per l’immigrazione”, ciò che i commentatori si attendevano di più era il “cenno alla vita delle nostre istituzioni”, offerto da Mattarella quasi alla fine del suo discorso: istituzioni “concepite come uno strumento a disposizione dei cittadini”, come “luoghi della sovranità popolare, che vanno abitati se non vogliamo che la democrazia inaridisca”.
Per il Presidente i cittadini hanno scelto di abitare quei luoghi anche di recente, con l’alta affluenza al referendum costituzionale. Avrebbe ben potuto Mattarella ribadire le affermazioni fatte poco prima sui pericoli dell’odio come strumento di lotta politica, vista la quantità di fiele e veleni sparsa in abbondanza nei mesi precedenti il voto da parte di molti sostenitori del Sì e del No; ha preferito limitarsi a considerare la consistente partecipazione dei cittadini alla consultazione come “segno di grande maturità democratica”. La lettura naturalmente (e purtroppo) coglie solo in parte le ragioni dell’affluenza, saremmo felici se a spingere alle urne molti italiani fosse stato solo questo e se il voto fosse stato esercitato da tutti in piena consapevolezza; se però dell’anno che si spegne si deve cogliere il meglio, sul punto ci si può fermare qui.

Il discorso di Scalfaro del 1994
Ancora più atteso, se possibile, era il passaggio sulla nascita del governo Gentiloni e, soprattutto, sulla scelta di non sciogliere le Camere, come invece avrebbe preferito più di un cittadino che si è rivolto direttamente al Presidente via lettera. E’ inevitabile che torni alla mente un altro messaggio di fine anno, quello pronunciato da Oscar Luigi Scalfaro nel 1994, all’indomani della sua ferma decisione di non andare a nuove elezioni immediate, richieste invece da Silvio Berlusconi dopo le sue dimissione: in quell’occasione Scalfaro sottolineò che “il Presidente della Repubblica, secondo dettato costituzionale, non può fare prevalere nessuna sua tesi personale, ma deve registrare la volontà del Parlamento” e “quando la realtà parlamentare fosse inidonea a mettere al mondo un governo, prevale talmente il Parlamento che il Presidente della Repubblica, prima di sciogliere, deve sentire il parere del Presidente del Senato e il parere del Presidente della Camera, anche se non sono pareri vincolanti, cioè che lo vincolano”.
Anche Mattarella si è riferito alla volontà della maggior parte del Parlamento, ma questa volta con riferimento a un tema specifico e che lui ben conosce: quello della legge elettorale. E’ chiarissimo il riferimento alla necessità di “regole elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volontà e questa trovi realmente applicazione nel Parlamento che si elegge”: una necessità, dunque, non dei politici, ma in funzione degli elettori stessi. Altrettanto chiaro, senza possibilità di smentita, è il seguito, in base al quale “queste regole, oggi, non ci sono”, essendoci alla Camera “una legge fortemente maggioritaria” e al Senato “una legge del tutto proporzionale”, a voler tacere dei numerosi e non piccoli problemi tecnici di applicazione di norme “ritagliate” dalla Corte costituzionale.
Può colpire l’assenza di riferimenti al prossimo (e ancora incerto nei contenuti) intervento della stessa consulta sull’Italicum: questo però si giustifica pienamente, sia con la precedente esperienza di Mattarella come giudice costituzionale (per cui la mancata citazione potrebbe essere frutto di una scelta di garbo istituzionale), sia con il riferimento molto più pregnante alla “esigenza di approvare una nuova legislazione elettorale […] sottolineata, durante le consultazioni, da tutti i partiti e i movimenti presenti in Parlamento”. Una necessità e una volontà, dunque, che va ben oltre il ruolo di “giudice a chiamata” della Corte.
Se, per Mattarella, “con regole contrastanti tra loro chiamare subito gli elettori al voto sarebbe stato, in realtà, poco rispettoso nei loro confronti e contrario all’interesse del Paese. Con alto rischio di ingovernabilità”, non stupisce che lui stesso abbia poco prima sottolineato che “chiamare gli elettori al voto anticipato è una scelta molto seria”, benché le elezioni “in alcuni momenti particolari” (specie quelli di blocco, in cui il Parlamento – con le batterie scariche – una maggioranza non riesce più a esprimerla) restino “la strada maestra”. E per permettere al Parlamento approvare nuove regole elettorali c’era bisogno – e in fretta – di un nuovo governo (stante l’indisponibilità del Presidente dimissionario a continuare il lavoro) che – pur senza proporre esso stesso nuove norme per il voto – continuasse l’opera di “gestione del Paese”, nel tentativo di “governare problemi di grande importanza che l’Italia ha davanti a sé”.
Non c’è solo la legge elettorale, dunque, ma certamente la legge elettorale è per Mattarella il punto più importante dell’agenda parlamentare dei prossimi mesi. Nessuna indicazione, ovviamente, da lui è venuta su come dovranno essere le nuove regole; la decisione sarà rimessa interamente alle Camere. Al netto di considerazioni sulla formula elettorale (che saranno rinviate ai prossimi giorni, in un altro articolo), chi scrive condivide in pieno la scelta di non dare la parola ai cittadini con regole di incerta applicabilità (al Senato) e dagli effetti complessivi non prevedibili sul sistema della rappresentanza. Votare al più presto poteva essere un gioco interessante, almeno per chi ha la passione irriducibile dei numeri e dei voti che contano; non votare ora, invece, è stata una scelta saggia, che il presidente Mattarella si è assunto nel pieno rispetto della Costituzione (che ritiene lo scioglmento una prerogativa del Capo dello Stato) e ha giustamente ricordato nelle sue ultime parole per il 2016 agli italiani.